mercoledì, novembre 26, 2003

Si avvisa un logorìo interno, si avverte il senso di una monotona deprivazione. O si affronta il vero vuoto, senza risvolti, senza borborigmi di interpunzione, come se ci rifuggisse anche la flebile reminiscenza di una previa pienezza, vitalità, energia.

Banale Espediente Riempitivo A: assunzione di grammi 100 di cioccolato. Concretizzato.
- Inefficace. Probabilmente perchè, appunto, banale. Ancora più probabilmente perchè cioccolato fondente.

Scivoloso Espediente Riempitivo B: aspettare la pioggia per non piangere da soli. Sperimentato troppo di recente.
- Inefficace. Scorta lacrimale esaurita insieme al precedente diluvio e allagamento. Probabilmente "chi va dicendo in giro che odio il mio lavoro, non sa con quanta gioia mi dedico al simbòlo". E' indelicato, lo so, citare questa canzone in questi giorni. Ma è indelicato anche farmelo notare.

Precipitevolissimo Espediente Riempitivo C: brainstorming con sodale che "sì anch'io", "esatto", "ugualeuguale". Attuato.
- E inefficace. Probabilmente vuotare il sacco non è un'idea brillante quando il sacco floscio è precisamente ciò a cui verreste affiancate in un confronto all'americana.

Niente di nuovo, insomma. Sono qui con gli occhi spalancati sull'esistenza e mi chiedo dove abbia lasciato i soliti maledetti occhiali.
Inquisizioni indotte dal romanzo appena finito. Cosa sarà di me quando non sarò più io?
O dagli spiriti della scrittura?

Lo studioso, staccandosi dai suoi libri, si mise davanti agli occhi un unico carattere e passò un giorno intero a fissare caparbiamente solo e soltanto quello.
[...]
Il carattere gli apparve improvvisamente frantumato, e non riusciva più a vedere davanti a sè che un groviglio di linee senza senso. Come un semplice ammasso di linee potesse avere un determinato significato gli risultava del tutto incomprensibile. Ciò su cui fino a quel momento, per settant'anni, non si era mai soffermato, tanto lo trovava naturale, non era naturale nè logico.
[...]
Gli spiriti della scrittura divorano gli occhi degli uomini simili alle larve che scavano nella buccia delle castagne e ne mangiano la polpa senza lasciare niente


[Nakajima Atsushi, Cronaca della luna sul monte]

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Mi arriva via mail, immagino per contrappasso:

DA CHE ALBERO CADESTI?

> Set 03 a Set 12 - Il Salice piangente

eh ma ca***

Il Salice piangente, la Malinconia.

eh ma **zzo

segue profilo larvatamente consolatorio.

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lunedì, novembre 24, 2003

Motivi che nonostante tutto mi fanno amare lo studio/1
Sono succube di inezie grammaticali.
Il verbo shiru, che si significa sapere, conoscere, in una proposizione affermativa si usa quasi esclusivamente alla forma progressiva (mentre una frase negativa lo vuole alla forma semplice).
Non è metaforicamente ineccepibile?

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Quando andavo in vacanza al mare da bambina avevo un amico che m'aspettava tutte le estati. Io ero un po' un maschiaccio. Lui un po' cardiopatico. Mi ricordo un viso da lepre, la cicatrice di un'operazione sul petto, la frase più ricorrente, "o sara, machett'hoffatto?? e diomadonna" e io che misuravo ematomaticamente

 

ematomatica, s. f., scienza basata sullo studio quantitativo e qualitativo dei numeri e delle figure geometriche dedotti tramite indagine contusionale.

 


il giardino di mia zia con i pattini da hockey dei miei cugini mentre al di là della siepe ore di ripetizioni esprimevano drammi in 9 atti: inediti, irritanti, commoventi - insormontabile l'elaborazione del lutto dell'ottava tabellina.
Stavamo bene insieme: andavamo al mare, giocavamo a frisbee variante torello - lui e suo cugino che lanciavano, io in mezzo piagnucolante che cercavo di eludere un prevedibile stato comatoso - esploravamo in bici la pineta alla ricerca di dossi e cunette che ci dessero l'illusione di fare cross - ciclisticamente all'avanguardia, su delle Graziella - e la sera mia zia, dalla sua autorità di cassa, ci apriva i tendoni di velluto del cinema.

La moda della mountain-bike ci colse del tutto impreparati. Laggiù la chiamavano "la rampichino": cosa che, con una certa finezza lessicale, sottolineava anche la spinta ascensionale statosimbolica - in caso di mancato possesso, sfigasimbolica - dell'oggetto.
La moda della mountain-bike mi colse del tutto impreparata. Non capivo bene cosa ci fosse da scalare in quelle strade a livello del mare e a dirla tutta non avrei neanche saputo cambiare le marce, se pure me l'avessero comprata. Il mio amico decise di confermare la mia interpretazione sfigasimbolica della realtà con un discorso del tipo: "tanto adesso mi comprano la rampichino e me ne vado a giro e tu non puoi venire, poi appena ho 14 anni mi faccio il motorino e non mi ci vedete più da queste parti"
Effettivamente non l'ho visto più: le mie vacanze poi si sono sempre svolte altrove. Mi ha sorpreso ricordarne perfettamente la voce, così vivace - al contrario del genio matematico.
Ciò che mi domando è se quel crudele discorso sia stato l'inaugurale incrinatura delle mie già scarse ambizioni sociali o semplicemente sia stato quello che ha messo il monosillabo "bahh" sulla mia smania di motorino.

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lunedì, novembre 17, 2003

La gaffe Qui coiffe?
Decido di andare a tagliarmi i capelli.
Mi fa accomodare un cortese signore che trovo sempre meno cortese man mano che mi fa passare avanti il corteo delle sue habituée.
Non me la sento di protestare. La nostra conversazione è iniziata - e finita - in modo per me poco dignitoso:
Dice: "Hai preferenze su chi ti taglia i capelli?"
Dico: "Ma no. Non ho idea di come si chiamino e non mi piace indicare "voglio quella". Non c'è quel ragazzo...?"
Dice: "S.?"
Dico: "Eh. sì."
Dice: "Ma S. è in America"
Dico: "In vacanza?"
Dice: "No, si è trasferito"
Dico: "Ah!"
Dice: "Saranno SEI MESI"
Dico: "..."
Dice: "..."
Dico: "Sì, era un po' che non venivo"
(guarda la mia piega da reale britannico contagiato da virus boyleano) Dice: "..."
E' qui che capisco cosa devo fare. Perchè viviamo in un sistema meritocratico. Cedo allo straziante desiderio di tinta della sua capigliatura. Il mio posto.

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- Andate a vedere il monologo di Sarah Kane?
- Sì
- Tu e lei??
- Sì-ì
- Proprio voi due?
- Sì-ììì
- Ma sarà il caso?

Devo dedurre che ci vede particolarmente inclini a farci suggestionare. Oppure che ci vede particolarmente inclini al suicidio?
Non nascondo che la cosa mi preoccupa. Tutto sommato ho l'aria piuttosto felice per una che non lo è affatto*.
[E poi ci manca solo che diventi una suicide girl. Eh? Ah no no è un'altra cosa, d'accordo]

Lei sale in macchina e io, sincronizzando le pupille con il ritmo dell'inquietante orsacchiotto pendu che oscilla sotto lo specchietto retrovisore, la butto su una questione d'orgoglio: lo sai che se ti viene l'istinto di ammazzarmi perchè ti ci ho trascinata dimostri di non avere recepito il messaggio dello spettacolo, vero??

Non fornivano lamette-omaggio all'entrata, come qualcuno suggeriva (forse l'eliminazione di potenziali clienti non sarebbe propriamente del marketing ben riuscito) - ma non manca l'onnipresente questionario comehaisaputo/quantohaigradito. Ci accomodiamo nell'angolino defilato e io che sono fresca della visione di Bowling a Columbine penso alle manifestazioni contro le esibizioni di Marylin Manson, addidate come istigazioni al Male "non è che tutti guardando una pubblicità escono e comprano il prodotto; ma una certa percentuale sì": oltre al ricorrente umor nero mi fregio anche d'avere un fortunatamente meno ricorrente humour nero, cosa che mi fa scandagliare le facce tra il pubblico per trovare la certa percentuale che in questo caso potrebbe.
Nessun macabro pensiero che non sia anche un esorcismo; ma il sollazzo statistico scema con le luci che si abbassano e la voce che porta un assillante: Di amici ne hai. Hai tanti amici. Cosa offri loro per renderli così premurosi?

Una volta mi hanno gridato, punteggiando di saliva l'aria, il collo teso - proteso - per la veemenza: "Che razza di morale è la tua? Per quale-cazzo-di-morale non chiedi mai aiuto? Chiedi aiuto!"
[Non sono capace di chiedere.
Rispondo. Non sono le parole, che dicono, sono io. Non si vede?]
Com'era possibile non averlo sempre saputo? Ho pianto ho pianto ho pianto davanti a una pluralità perplessa, senza neanche coprirmi la faccia, ho pianto l'attesa, la dichiarazione allucinata, l'abbagliamento.

Di amici ne hai. Hai tanti amici. Cosa offri loro per renderli così premurosi?
Di amici ne ho. No, tanti no.
Ne ho.
E cosa gli offro per renderli così premurosi? Temo di non offrirgli, spesso, nemmeno la possibilità di essere premurosi.
A qualcuno, sì. E a qualcuno lo permetterei.


Mi è capitato di nuovo sognare di leggere uno scritto, di nuovo un capolavoro di cui fossi non solo la destinataria, ma anche l'unica lettrice possibile. L'estetica onirica mi suggeriva fosse quanto di più splendido mi sarebbe stato concesso di avvicinare.
Non me lo suggeriva una consapevolezza sensibile e imprecisa; leggevo le parole ben distinte di una disperazione fedele e accondiscesa - e forse per questo finita. Era una disperazione che mitigava l'affanno del futuro.


* S.K.

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mercoledì, novembre 12, 2003

[quale tristezza? è portarsi avanti] perchè poi venerdì 4:48 Psychosis
Voce al telefono: E se pensa che le cose vanno male a casa sua, che dovrebbe dire se fosse uno di queste parti, allora?

John Shark: Non starai mica facendo ancora quei brutti sogni, Bob?

Voce al telefono: Non sono i sogni, John. E' quando ti alzi e apri le tende la mattina, diamine. E' allora che ti salta agli occhi.

Radio Leeds
Il John Shark Show
Giovedì 16 giugno 1977


da: David Peace, 1977


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venerdì, novembre 07, 2003

Un grafico una webdesigner che studia giapponese, cosa può volere di più (dalla Triennale) di una mostra su Otto Neurath e Isotype?
Può volere, può volere (omettendo quanto esula, cioè piùomenotutto) - qualche pannello in più, il biglietto ridotto, un catalogo a un prezzo proporzionatamente decente e magari un omaggio all'uscita che non sia il questionario da compilare. No, pardon! strascrivevo solo perchè l'argomento era interessante e mi dispiaceva che la mostra non fosse più ampia: per una webdesigner una realizzatrice di siti l'idea di una comunicazione visiva accessibile e metalinguistica è sicuramente accattivante, se addirittura non è una premessa necessaria*.
Ma ciò che m'ha fatto piacere notare era piuttosto la possibile assimilazione di Isotype a una scrittura ideografica.

Anni fa seguivo in rispettoso silenzio un newsgroup di linguistica e mi ricordo dispute a cadenza periodica (sorprendentemente regolare) su quale sistema di scrittura fosse migliore o più sensato o più anacronistico fra quello fonetico-alfabetico o quello ideografico.
Non ho sicuramente le competenze per esprimere un punto di vista di qualche valore e non lo esprimerò. D'altra parte non mi interessa decidere quale sistema sia più logico: li trovo logici entrambi, entrambi sofisticati, entrambi imperfetti - incompleti, incompiuti e non può essere altrimenti, perchè la comunicazione non è fatta di espressioni solamente verbali.
I primi ideogrammi (cinesi), quelli incisi sui gusci di tartaruga come divinazioni, erano pittogrammi, ritratti di "cose": segni che facevano coincidere forma e sostanza. Ma l'evoluzione sociale e quindi linguistica non avviene in una realtà descrivibile solo per pittogrammi e la raffinatezza del pensiero ha concertato storicamente diversi tipi di ideografie - e per chi non ha passato anni e anni di marziale scuola dell'obbligo a ripetere quei movimenti che tracciano significati sarebbe difficile, troppo difficile impararli sperando solo nell'ausilio della memoria.
La passione per il Giappone mi ha portato alla passione per la lingua che lo esprime, ma avrebbe potuto benissimo avvenire il contrario; amare il popolo per via di questa scrittura che tanto deve (no, dà!) al disegno, nata come comunicazione immediata concreta e trasformatasi in un sistema tanto complesso da risultare talvolta fin troppo astratto, ragionato, che spesso fa sentire disorientati come davanti a un enigma; e forse è proprio l'aria di sfida, che cattura.
Ma questo non c'entra, quel che volevo dire è che c'è qualcosa d'altro che rende questa scrittura incomparabile ed è la ricchezza che deriva dal fatto che il vocabolo non è solo un suono convenzionale, ma è accompagnato (a seconda dell'origine, a volte bizzarra) dalla riproduzione grafica di oggetti associati per creare concetti: una avvolgente esuberanza di informazioni che fa pensare di camminare in una foresta di simboli.

Si potrebbe pensare, dopo questa apologia, che io mi esprima in caratteri mirabili. Niente di più falso: la mia scarsa attitudine all'applicazione costante mi fa vergare solo dei pietosi idiogrammi.

 

idiogramma, s. m., carattere grafico prodotto con meticolosa deficienza (d'esattezza?) da persona in evidente difficoltà cerebrale geneticamente certificata

 


* certo che l'interpretazione dei segni non dev'essere sempre priva di ambiguità. In Bulgaria fuori da un supermercato 24h/24 che recava un cartello a cui davo la lettura inequivocabile di "vietato entrare armati", un tizio si preparava alla spesa infilandosi nervosamente una pistola fra i pantaloni e la pancia. Da brivido. Dico, il contatto del metallo sulla pelle nuda. E anche tutto quel lavoro sprecato sull'inequivocabilità dei segni.
(Anche il lettore di segni sarà anarchico?)

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mercoledì, novembre 05, 2003

Intervista a un artista di merda.
Leggo su Carnet l'articolo di Alessandro Riva su Wim Delvoye, artista belga che espone al Museo Pecci di Prato l'opera "Cloaca turbo", un impianto che mostra - in 16 metri di automatismi - l'intero processo digestivo, con tanto di prodotto finale:

"Così ho pensato che il cibo, la digestione e quindi la merda, sono quello che in fondo ci accomuna tutti, i ricchi come i poveri, le donne come gli uomini. La cacca è universale, multiculturale e cosmopolita".

E come dargli torto? Può essere un discorso condivisibile. Almeno, sicuramente è organico.
Più indietro e più avanti si fanno i nomi di Picasso, Duchamp, e ovviamente, Manzoni, ma questa frase mi sembra un concentrato soddisfacente per un ego di dimensioni considerevoli:

"Cloaca è un'opera impressionante, diabolica nella sua assoluta perfezione, un vero e proprio organismo vivente [...] è come guardare la Cappella Sistina, come trovarsi davanti a un David contemporaneo, cibernetico, fatto di chimica e computer".

In realtà, non ho nessuna intenzione di soffermarmi sulla qualità del prodotto artistico (e soprattutto del prodotto tout-court). Cito l'intervista solo per ribadire ancora una volta come l'essenziale non sia nella risposta, ma nella domanda. E l'essenziale, Riva dixit, in questo caso è:

"Lei si rispecchia dunque in "Cloaca"? Si può dire, parafrasando Flaubert, Cloaca c'est moi?"

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martedì, novembre 04, 2003

Ho un umiliante complesso di inferiorità nei confronti dei miei due colleghi che da qualche tempo discettano di piante e giardinaggio. Mi sento emarginata, menomata dalla mia crassa ignoranza floristica che in vari episodi ha recentemente dimostrato caparbie recrudescenze. Purtroppo partecipo alle conversazioni soltanto con aneddoti sulla mia vergognosa incompetenza. Di quella volta che ho assassinato un acero bonsai con overdose di concime, di quando sono riuscita a far patire disidratazione perfino delle piante grasse, di come la potatura sia operazione di tortura, almeno per quanto mi concerne: mi immagino sempre che sanguini il tronco e una voce benignesca mi apostrofi come Pier delle Vigne.
Ma il maggiore ostacolo a una mia emancipazione nel settore è la mia educazione libresca e vergognosamente cittadina. Ad esempio l'altro giorno mentre camminavamo svagati calpestando gradienti autunnali si svolgeva un (drammatico) dialogo paradigmatico.

io: "Mmm, che alberi sono questi?"
a. : "Boh".
io: "Dai ci sono sempre nei film di Woody Allen, sembra che a Central Park sia sempre autunno... Abbiamo rischiato anche di ritrovarci agonizzanti sotto quelle fronde, a Bucarest...no?"
a.: "Ehm sìììì?"
io: "Allora: pioppi non sono perchè quelli stanno in filari; abeti neanche perchè quelli hanno le decorazioni; mangrovie, lo escludo...
a.: anche il baobab
io: giusto,
a.: e il salice piangente
io: vero. escludo anche le sequoie?

Qualche tempo fa, invece sono andata a fumarmi una sigaretta in balcone e ho visto una nuova qualità di piante nei vasi. Allora ho chiamato mio padre per lodare la scelta rivoluzionaria.
io: "Oh finalmente abbiamo ovviato alla banalità del geranio"
padre titubante: "s-sì"
io: "e che pianta..?"
padre recalcitrante: "è una specie particolare..."
io: "sì ma di che pianta?"
padre rassegnato: "crisantemo"
io, interrogativamente divertita: "ah..."
padre sollevato: "sì... e quello (indicando una pianta che non avevo notato)..."
io: "eh"
padre raggiante: "è un cipressino bonsai"
io: "pa' quando dicevo che era ora di andare alle urne non intendevo quelle confortate di pianto"

Tutto questo m'è venuto in mente perchè qualcuno m'ha detto di me che aspetto alla fine di un viale alberato: io ho pensato immediatamente a Viareggio, al viale dei Tigli, che adoro perchè attraversa la pineta come una cerniera, che adoravo perchè si apriva sulla frescura preservata da alberi enormi dalle radici massicce e che portava l'ombra confortante quasi fino al melmoso malinconico lago pucciniano.
Ci ho pensato perchè mi hanno riportato la notizia che sono stati tagliati quasi tutti i tigli perchè erano malati. Mi ha dato un dolore indescrivibile. E motivi di cogitazione: ribattezzeranno adesso il viale operando uno scambio di vocale in memoria dell'avvenuta amputazione?

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