venerdì, febbraio 08, 2008

Riandando l'altro giorno all'aneddotica familiare per via di certe gaffe materne perpetrate in altre case, di cui mi stava raccontava mio padre, gli ho fatto notare che in fin dei conti mia madre - a cui non ho mai portato rancore per questo - aveva intravisto la mia disturbante sensibilità solo verso i quattordici anni, e che per buona parte della mia infanzia non aveva avuto idea di chi fossi. Tanto che quando si giocava al gioco dei pregi e dei difetti - sai, quello in cui tu ti allontani, gli altri restano al tavolo a confabulare, si fanno grasse risate oppure dicono 'no, dai', e quando torni devi indovinare chi ha detto cosa di te; un gioco terribile - dava sempre di me definizioni che mi lasciavano scioccata, che cercavo puntualmente di attribuire a mio fratello.
"Lo so", mi ha risposto mio padre. "Le ho sempre detto che si sbagliava. Quando si preoccupava per tuo fratello ma per te no, che tu eri forte, glielo dicevo che non aveva capito: lui riesce ad andare avanti, supera le cose, non soccombe".
Mio padre. Adopera senza saperlo gli stessi verbi che anch'io utilizzo per me stessa.

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