venerdì, giugno 25, 2004

Bè, a onor di cronaca e del donatore, devo informarvi che anch'io ho un account gmail.
A delle mie metaforiche lamentele sul fatto che mi tocca spesso ricominciare senza che mai una volta mi si inviti a ripassare dal via per ritirare le agognate 20.000 lire, il donatore suggeriva fra l'altro un'interessante riparazione: un account PayPal con cui potreste aiutarmi a "perseverare nell'illegalità". E, credetemi, persevero (inde)fessamente. Almeno, credo d'aver perseverato anche mercoledì sera.
Posto, da me, che nessuno di voi vorrebbe riparare al mio involontario - giuro! - delinquere, lui poneva delle condizioni, fra cui una rinfrescata al template. Lo so che anche i blogger più oblomovi ormai hanno cambiato divano due o tre volte e io scrivo qua sopra da due anni e.
Insomma, so che queste mie rimarranno urla nel silenzio, ma (rsvp): dite che sarebbe ora?


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"Si fanno delle guerre, solitudine contro solitudine. Feriti affrontano feriti, e l'amore è la posta in gioco. Ciò che si rimprovera all'altro, non è che condivida la stessa ferita, è che abbia trovato gli stessi rimedi. L'amore è quando uno crede che l'altro abbia trovato una cura diversa, e che lo guarirà. Ma la maggior parte delle volte lottiamo contro esseri che ci assomigliano troppo, che soffrono quano noi, e in questo sono imbattibili."

Pierre Mérot, Mammiferi

L'altra sera ero a cena da un'amica e a una certa ora è rientrato il suo compagno. Abbiamo scambiato qualche parola, poi lui ridacchiando mi ha detto che mi consigliava un libro e si è ritirato in camera lasciando il titolo sospeso a mezz'aria. Io mi sono voltata verso la mia amica per verificare la sua complicità e lei ha cominciato a raccontare: la trama in generale, ma anche episodi specifici. Di un libro che non ha letto, ma che lui ha narrato, condiviso.
E ci siamo baloccate con interpretazioni, intenti, eufemismi e perifrasi. Di un libro che nessuna delle due ha letto.
Mi sono morsa le labbra per sfuggire a quella pericolosa amnesia che altro non è che pessimismo conico

 

pessimismo conico, (fig.) forma di pessimismo di cui si constata una parte minima, ma di cui si intuisce un'estensione sommersa molto ingombrante (analogo alla forma dell'iceberg come del gelato immolato sull'asfalto)

 

(ssst, sto cercando di fare una tassonomia di pessimismi: colico, copyco, cubico e al limite anche cotico)

perché stavo di nuovo scivolando sulla questione sbagliata. Mentre la guardavo raccontare, ogni tanto gettando una voce all'altra stanza per sincerarsi di alcuni particolari, mi sono domandata quale parte di loro stesse nutrendo il romanzo, gli stesse dando lustro: è lui un dannatamente abile narratore o lei una grandiosa, capace, ascoltatrice? Ma era, appunto, una questione inopportuna. Si trattava solo di prendere atto di una disarmante armonia nel curare i racconti.

L'armonia è il principio ispiratore di buona parte delle filosofie e discipline orientali ed è di una crudele armonia, in fin dei conti, che penso testimonino le splendide stagioni di Kim Ki-Duk.
Ma siccome mi intimidiscono la mia ignoranza e la mia scarsa perspicacia mi faccio scudo di frammenti per annotare quanto posso della bellezza di questo film, dandole un corpo, seppur di pietra, nelle statue zoomorfe all'entrata del piccolo tempio. Si trattava di un eremo buddhista, ma io ritorno a quanto letto dei templi Shinto, di solito protetti da due guardiani di pietra, incrocio prodotto dai secoli di un leone e un cane*, uno con la bocca aperta e l'altro chiusa, uno chiamato "a" e l'altro "n", poiché a è il primo suono del sillabario e il suono del primo respiro, n è l'ultimo suono del sillabario, nonché il suono dell'estrema esalazione: in giapponese, "respiro a-n" è un'espressione che indica una profonda, perfetta sintonia, un'unico respiro, l'armonia.

* surprise! almeno non ero completamente fuori luogo, dato che sono anche detti "cani coreani" - non lasciatevi andare a facili battute: questo non vuol dire che siano commestibili

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giovedì, giugno 17, 2004

Il suono del citofono corrompe una quiete claustrale - no, d'accordo: nell'altra stanza romba un aspirapolvere che ha vinto dodici Campionati Costruttori e io sento a malapena il (doppio) richiamo del postino. Vado a rispondere.
- Posta!
- Sì (doveva essere lui, era l'ora: da quando mio padre è in pensione il postino lo lusinga quotidianamente con una smaccata predilezione), le apro.
- [irritato, sentendo una voce non diletta] Senta, se potesse venire a firmare... perchè è una raccomandata
- [oddioddiodddio lo sapevo, ma di solito non ci vuole più tempo?] Ah ehm, certo, arrivo.
- No, scusi, sono due raccomandate.
- [oddioddiodddio]
- No, tre...
- [oddi... basta, la prego la supplico, sto cercando di impiccarmi col cavo del citofono ma non ho ancora superato quello scoglio del nodo Savoia, la mia agonia verrà immortalata da "Chi"]

Pochi minuti più tardi, mentre mio padre mi aizza contro l'aspirapolvere ribattezzato "Christine", avviene lo spoglio dei tre documenti postali recanti medesimo mittente, Polizia Municipale. Io, spalmata sulla porta davanti all'elettrodomestico infernale - ruggente - cerco d'informarmi sulle circostanze delittuose per impostare una linea di difesa, ma so che non potrò contare su tre giornate di squalifica.
Ho alibi inattaccabili che mi scagionano da tutte le accuse, ma il calo della tensione dovuto a questa consapevolezza mi precipita nell'errore fatale che rivela una certa malafede:
- In quella via il 29 febbraio? [raggiante, già teorizzo manifestazioni karmiche bisestili] Ma allora non può essere la mia!
- LA TUA?
- [risata molto nervosa] ah ehm -- che dico, il 29 febbraio? che data stro...


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mercoledì, giugno 16, 2004

Cigola la carrucola nel pozzo...
e poi oh, finalmente esce. Il tema su Montale, dico. Lo minacciavano ALMENO dai tempi della mia maturità ('96). Mia madre pretendeva che lo spettro si aggirasse per i corridoi del ministero già ai tempi della sua maturità ('76), ma non mi sembra plausibile (fresco di un Nobel nel 1975 e soprattutto, dato che l'avvenuta spettrità del poeta, se non erro, è datata 1981...).
Ciò che continuo a chiedermi: dove sono finiti quei bei titoli che sembravano quesiti referendari?

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sabato, giugno 12, 2004

In libreria ho agguantato un libro incuriosita dal titolo e dalla neonata casa editrice. Convinta di averlo fatto carambolare involontariamente l'ho rigirato un paio di volte prima di accorgermi che era stato rilegato al contrario. Ho accertato la pari quantità di copie difettose e copie sane, e dopo essere rimasta avvinghiata al primo racconto, ne ho portata a casa una upside-down (perché carina?):

"Me stesso?"
Gli sarebbe piaciuto essere se stesso. Non avrebbe voluto essere Jackson Pollock l'Artista, ma non era una cosa facile. Innanzitutto c'era la paura di ciò che sarebbe potuto accadere se fosse stato se stesso, cosa che, quando tentava di immaginarla, gli dava la sensazione di precipitare in uno spazio senza peso. E non gli piaceva. [...]
"Sono qui" le disse "Questo sono io."
Ma lei non lo sentiva. Continuava a guardare la parte vecchia, la parte falsa, la parte che lui detestava. Era quella la parte che percepiva. La ragazza allungò un braccio e prese la parte falsa per mano e disse: "Dai, andiamo."
Jackson sussurrò tra sé e sé: "Non te ne andare". Poi smise.
"Dai" disse lei, "andiamo."
"Non te ne andare."
"Dai" disse lei."
"Non te ne andare..."
[...] Lei se lo stava portando a casa, ma aveva scelto l'uomo sbagliato. "Pensa di aver preso me, ma quello non sono io" si disse. "Questo sono io. Questo qui. Eccomi."

[John Haskell, Io non sono Jackson Pollock, Bookever]

Voglio dire, immedesimarsi è al solito un tormento perché potrei essere la ragazza come potrei non-essere-Pollock, e questo vorrebbe dire in parte anche essere-Pollock. Ma in realtà va bene comunque, se accantoniamo la mia inettitudine artistica: dopotutto non faccio altro che drip-meanings.

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giovedì, giugno 10, 2004

D'altra parte, cosa aspettarsi?




You're Waiting for Godot!
by Samuel Beckett


Many people think you're extremely dull, but you're just trying to
patient. Really patient. Patient to the point of absurdity, quite frankly. Whatever
you're waiting for isn't going to just come along, so you can stop waiting. I promise.
Move on with your life. Change of scenery might do you good. Heck, any scenery might
do you good. In the meantime, you do make for very interesting conversation.


Take the Book Quiz
at the Blue Pyramid.



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martedì, giugno 08, 2004

La citazione di una scheggia delle sue Ore Giapponesi, una pagina a caso, un aneddoto qualunque. Solo un omaggio a una persona di immensa cultura e acutezza, tradotte sempre in impressioni profonde ma di affascinante lievità.

"Mentre parlavamo mangiando, bevendo, alternando le nostre sollecitudini paterne alla degustazione d'una leggera frittura di gamberi in olio d'arachide (tenpura), con puré di rape crude, mi giungevano agli orecchi brandelli d'una conversazione che aveva luogo nella terrazzina accanto alla nostra, dove stavano quattro o cinque uomini, con altrettante giovani donne. Sentivo spesso parlare di taiyo-zoku, "razza del sole", nome preso da un recente romanzo di scandalistico successo, con cui si allude alla più giovane e scapestrata generazione del dopoguerra, quella cresciuta senza "pietà filiale" e senza "imperatore dio". Gli uomini dovevano dire cose fortissime poiché le ragazze scoppiavano nervosamente a ridere coprendosi la faccia con il ventaglio o col tamoto (la manica del kimono) esclamando "iya da wa!", "non mi piace", "che cosa antipatica!". Avrei voluto ascoltare e seguire. È davvero disperante quando - e succede spessissimo - due conversazioni ti appassionano ugualmente e devi fare uno sforzo belluino per non perdere il succo né dell'una né dell'altra. Perché la vita è fatta di decisioni? Cioè di cisioni-da, di tagli da?"

Fosco Maraini, Ore Giapponesi (1956)


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sabato, giugno 05, 2004

È opinione di molti che scrivere sia una flagrante abiezione, un esercizio egocentrico. È mia opinione che spesso non sia altro che una deliberata umiliazione, paziente e meticolosa, nemmeno particolarmente raffinata.

Aspettavo di scrivere come chi ha passato i diciotto anni e non è poeta, non vorrebbe esser cretino, e non ha un futuro da cantante. Ho aspettato di scrivere come avrei aspettato un malanno, avvisando i prodromi e lamentando i segni, le ossa molli e mille margherite scarnificate.
Sublimare l'insublimabile con la scrittura sarebbe molto probabilmente qualcosa di simile alla sublimazione della scrittura stessa, cosa in cui non spero minimamente. Ma su una quarta di copertina la frase "scrive poesia in forma di prosa" mi ha infastidito e ho ricacciato il libro sullo scaffale con la solita stizza, cognita e immotivata. Scrivere poesia in forma di prosa sembra quasi un'esibizione di intimità, di quelle che nascondono una mancanza di intimità, o che la fanno temere.
Allora ho aspettato di scrivere come se fosse uno di quei gesti quotidiani che un giorno risvegliano il delirio abissale o peggio lo sedano, presenziando con un sorriso complice, prêt-à-composer - à decomposer - prefigurando di sfregiarlo di pianto.

Scrivere non potrà mai essere un merito; così come non è un merito e ancor meno una ricompensa (anche se agli occhi di alcuni assume tale valore) essere amati - com'è banale a volte, la disperazione.

Ma io odio il tempo. Che mi è o mi sarà necessario. Mi servirà tutto?

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martedì, giugno 01, 2004

oh SIR!

Sono tremendamente ingiusta e veterogucciniana se prego perchè venga declinata un'onorificenza?


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