domenica, gennaio 05, 2003


Amitav Ghosh, ne Lo schiavo del manoscritto:

< Ripulii con cura le scarpe dal fango, mi avvicinai alla porta e bussai. Dopo un lungo intervallo di tempo una voce rispose chiedendo: " Chi è?". Era una voce di donna e sembrò riecheggiare fino in fondo al vicolo.
-Ana, dissi scioccamente, con uno strano tremito delle gambe, poi subito la voce tonante di Shaikh Musa - Amitab, ya, Amitab, ya doktor, dove sei stato? - e per tutto il tempo impiegato dalla moglie a togliere la catena continuò a ripetere: - Amitab, ya, Amitab dove sei stato? - Quando finalmente la porta si aprì avvicinammo le nostre mani con grandi schiocchi e ce le stringemmo forte, prima una poi tutte e due insieme, e lui continuava a ripetere "dove sei stato tutto questo tempo? dov'eri?" - ma adesso i suoi occhi erano pieni di lacrime, e anche i miei, passarono mesi prima che io mi rendessi conto con meraviglia che aveva riconosciuto la mia voce quando tutto ciò che avevo detto in risposta alla domanda di sua moglie era stato "Sono io". >

"Sono io". Commovente, perchè è commovente essere "riconosciuti", fa sciogliere in pianto, fa sorgere un silenzioso ringraziamento alle labbra; "riconoscere" e "riconoscenza" hanno la stessa radice, sono prossime semanticamente.
Io sono abbastanza fisionomista (soprattutto quando indosso gli occhiali), e mi ricordo le voci, gli accenti, la gestualità; invece son sempre convinta che gli altri, di me non ricordino.* Sono sempre convinta che gli altri non ricordino e quando mi incontrano per caso persone che non vedo da tempo e che io riconosco benissimo, e riconoscerei anche se fosse dieci volte tanto il tempo passato, sono io che mi volto e nascondo la faccia.
So di essere io stessa a misconoscermi, in realtà ho avuto la prova varie volte di persone che insospettabilmente avevano un ricordo molto preciso. Non mi piace guardarmi allo specchio, specie se ho qualcuno a fianco, di solito distolgo lo sguardo, il mio proprio non lo sostengo men che meno quello degli altri. Non mi piace farmi fotografare, e non certo perchè la fotografia mi rubi l'anima: probabilmente l'esatto contrario. In genere, per risparmiarmi, dico la verità: "ma no, poi l'effetto è puro cubismo! in foto assomiglio sempre a una demoiselle d'avignon". Non mi riconosco mai. Forse qualcosa che c'entra col non riuscire a vedersi in una dimensione diversa da quella interiore: tant'è che quando mi muovo sembro non aver alcun indizio della mia fisicità, sono terribilmente goffa.
Il riconoscimento mi commuove davvero e quello che desidero, è forse arricchito di sfumature trascendenti: riconoscermi, identificare un fondamento, una materia "atomica" che sia una, che sia cuore vivo e pulsante, che sia sostanza permanente. Non una definizione monovalente e incompiuta - soddisfacente il tempo di un istante, irritante - quanto piuttosto la conoscenza im-mediata di ciò che unisce nessuna e centomila facce.
Qualcosa di catartico, innegabilmente. sì, sì, è ancora l'amicizia. Quel che fa dire: "Sei tu".

posted by frammento at 05:55  0 commenti