mercoledì, marzo 05, 2003
Insomma, a me piace la
Nothomb. Ha una scrittura limpida e feroce e il piglio Grand Guignol. I dialoghi dei suoi personaggi, in genere piuttosto biechi (se non rivoltanti) ma raffinatissimi, si svolgono a ritmo vertiginoso incalzando verso un colpo di scena che spesso, al di là delle confessioni criminose, è semplicemente la portata distruttiva e annientante dello “scambio”.
A suo favore devo aggiungere poi l’opportunità dei titoli, solitamente piuttosto accattivanti: Igiene dell’assassino, Stupore e Tremori (questo sembra Idealismo Tedesco), Metafisica dei tubi, Cosmetica del Nemico…
Premesso tutto ciò, francamente quest’ultimo m’ha leggermente deluso. Non mi fraintendete, il libro è scritto sempre con una massiccia dose di bravura e la storia si svela
in crescendo, senza rinunce alle rivelazioni ‘scabrose’ così familiari ai lettori della Nothomb. Forse troppo familiari.
A proposito di scrittura (ma vale anche per la musica) mi chiedo spesso dove sia il confine oltre cui la riproposizione del marchio con cui l’artista si definisce trasformi lo stile nell’esaurirsi stesso della propria arte. Ad esempio, Arturo Perez-Reverte, i cui primi romanzi ho divorato (e comunque consiglio), mi è poi venuto a noia perché mi sembrava avesse preso gusto alla scritturia in serie: a parer mio, arrivato a “La carta sferica” avrebbe potuto rilegare insieme i vari volumi e bearsi di un’opera perfettamente circolare. Nomi cambiati, cambiato il contesto, ma romanzi in sostanza sempre identici.
Non tutti però ne hanno lo stesso giudizio. O sono meno sensibili a certe ‘ricorrenze’, a certi schemi
oppure sono io a non perdonare più il suo stile allo scrittore.
Più probabilmente la seconda.
E infatti, so che è banale, ma la mia perplessità riguarda proprio questo: fin dove uno scrittore è ‘responsabile’ della sua scrittura?
posted by frammento at
09:02
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