lunedì, febbraio 03, 2003
Sto leggendo
Felicità dell’esordiente romanziere Will Ferguson, divertente satira sul mondo editoriale e sul mercato della manualistica di auto-aiuto, mercato che si nutre del nostro insaziabile desiderio di felicità. Il Guccio direbbe “felicità, che sappiamo soltanto aspettare cercare già fatta, quasi fosse l’anagramma perfetto di
facilità, barando su un’unica lettera”. Io, per rimanere fedele a questo concetto, la mia felicità facile l’ho soddisfatta nel modo più impulsivo e immediato: c i o c c o l a t o. Perché sono succube delle copertine accattivanti, ma soprattutto del cioccolato. A questo punto della mia vita, se incontrassi Juliette Binoche con bambina e canguro immaginario e magari cioccolataio dello spot Lindt al seguito, penso che li prenderei a pagayate per ripicca (pagayate?? La scelta lessicale dimostra quanto in realtà io sia innocua).
La teoria su cui è costruita il romanzo è quella che essendo la nostra società basata sul desiderio di felicità (spesso identificata in ‘cose da acquisire’ o ‘consumare’), se un giorno non avessimo più bisogno di cercarla grazie a un manuale definitivo che la facesse dilagare epidemicamente, crollerebbero l’economia e la società stessa.
A me viene in mente Bryson in “America perduta”:
“la gente compra sempre quello che desidera, subito, senza valutare se è utile o meno. C’è qualcosa di terribilmente preoccupante e spaventosamente irresponsabilein questa autogratificazione senza fine, in questo costante appello agli istinti primitivi. […] Tutta l’economia si basa sul soddisfacimento dei desideri ardenti di quel due per cento della popolazione mondiale. Se gli americani improvvisamente smettessero di soddisfare i loro intensi desideri o non avessero più sgabuzzini, il mondo cadrebbe in rovina [..]
(oddio, di Bryson potrebbe venirmi in mente anche:
“Mentre gli altri esploratori rientravano in patria con nuovi ed esaltanti prodotti quali le patate, il tabacco o le calze di nylon, tutto ciò che Colombo riportò furono degli indiani dallo sguardo stralunato – indiani che credeva giapponesi (“Coraggio ragazzi! Fateci vedere un po’ di sumo!”).
Il libro lo sto finendo e quando sarà ultimato vedrò di posizionarlo in modo che non possa nuocere, ma comunque sia, ne consiglio la lettura. Soprattutto a chi come me ha sogni che abbiano come morbosa dominante il lavoro editoriale e abbiano amato le Edizioni del Taglione e la regina Zabo; oppure a chi una volta è stato vittima di un manuale di autoaiuto e fortunatamente è ancora qui per raccontarlo.
Che altro dire, sarei proprio
felice se potessi avere il libro degli ‘intraducibili’ (“They have a word for it”) che i due protagonisti ripetutamente citano…
posted by frammento at
00:34
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