lunedì, novembre 04, 2002
finito di leggere qualche tempo fa un piacevolissimo libro ambientato in mongolia, e terminata l'affascinante introduzione a un altro - solo l'introduzione, perchè dopo due pagine di genealogie mongole cominciavo a boccheggiare e a vaneggiare una di quelle belle (?) storie dickensiane ambientate in biechi orfanotrofi.
Dicevo, ho finito un libro di cui sono protagonisti un ragazzo zoppo a causa di una gamba dalla frattura facile e uno sciamano uscito direttamente dalla misteriosa giovinezza di suo padre per portargli l'agognata normalità (oddio no non è uno zeno cosini mongolo, anche se dagli indizi uno potrebbe
pensare)
Durante la lettura è facile vaneggiare un qualche collegamento coi personaggi mongoli che si sono studiati - proprio perchè nelle scuole occidentali sono
veramente
solo due quelli che vengono nominati - ma forse non cambierebbe molto, in questa storia, cambierebbe ancor meno perchè stiamo parlando
di mongolia, dove dopotutto ancora oggi si parla di cavalli, di steppe, di scorpioni, di deserto, di
tende,
di steppa, di steppa! di fuoco e coltelli, dove il verbo gerlekh "sposarsi" ha come radice ger= tenda, così che non ci si accasa, ma ci si "
attenda"
Bod Pa è uno sciamano errante, nano, campione di spada cieco, scettico alla magia e agli dei, perennemente ubriaco, che insegna la sua filosofia con
poesia, racconta storie con voce roca d'aedo attraverso canzoni ed enigmi.
come per esempio, che ne so, la storia di un re che quando gli chiesero che desiderio
volesse esaudito chiese la saggezza, e fu accontentato. e in vecchiaia rese scontento il suo popolo e fu destituito, perchè per essere saggio doveva
aver sperimentato stupidità ed errori. *in un certo senso, credo di essere in cammino verso la saggezza*E a me questo libro e l'introduzione al secondo sono piaciuti per svariati motivi: uno la bellezza in sé, due i luoghi evocati, tre la purezza del racconto, quattro
le eco. le eco! sono quelle del vento che fa cantare la sabbia, la steppa, le distese di prateria e le genti che per secoli si sono avvicendate, erranti, lungo quell'orizzonte vertiginosamente immutabile; ma anche il richiamo a un film, forse uno dei miei preferiti in assoluto.
Il film è Dersu Uzala di Akira Kurosawa, non ne parlerei mai abbastanza
e mai abbastanza decentemente, per cui mi autocensuro: ma parla di un'amicizia splendida nata tra due uomini dalla vita diversissima - un uomo della taiga
di etnia mongolica e un capitano dell'esercito russo - durante una spedizione per rilevamenti topografici nella taiga. E parla della natura, delle sue anime,
dei suoi spiriti, del rispetto e del timore.
Mi viene in mente anche un libro, ed è Le città invisibili, di Italo Calvino. Avrei voluto affrontare
a modo mio il discorso su questo libro
ma adesso inizia una mostra alla Triennale su quest'argomento e nessuno mi ha chiamato (bastardi), ma ho troppo poco tempo e poi non gli renderei onore. Però che straordinario, complesso impianto di desiderio immaginazione e ricordo! E il Kublai Kahn che interroga un Marco Polo visionario, e saggio, un po' sciamano...
posted by frammento at
04:31
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