lunedì, settembre 15, 2008
Posso solo dire che il suicidio di David Foster Wallace colpisce l'immaginario di noi (noi, per i quali è un'icona) schiavi - della mente, del dolore, e a nostro modo della letteratura - come l'ennesima frustata.
Sono amareggiata, affranta e non me l'aspettavo, eppure non sono
abbastanza stupita.
In rete gira il discorso che fece agli studenti della Kenyon University, in cui disse anche:
As I'm sure you guys know by now, it is extremely difficult to stay alert and attentive, instead of getting hypnotized by the constant monologue inside your own head (may be happening right now). Twenty years after my own graduation, I have come gradually to understand that the liberal arts cliché about teaching you how to think is actually shorthand for a much deeper, more serious idea: learning how to think really means learning how to exercise some control over how and what you think. It means being conscious and aware enough to choose what you pay attention to and to choose how you construct meaning from experience. Because if you cannot exercise this kind of choice in adult life, you will be totally hosed. Think of the old cliché about the mind being an excellent servant but a terrible master.
This, like many clichés, so lame and unexciting on the surface, actually expresses a great and terrible truth. It is not the least bit coincidental that adults who commit suicide with firearms almost always shoot themselves in: the head. They shoot the terrible master. And the truth is that most of these suicides are actually dead long before they pull the trigger.
And I submit that this is what the real, no bullshit value of your liberal arts education is supposed to be about: how to keep from going through your comfortable, prosperous, respectable adult life dead, unconscious, a slave to your head and to your natural default setting of being uniquely, completely, imperially alone day in and day out.
posted by frammento at
01:18
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mercoledì, settembre 10, 2008
L'idea dell'apocalisse laica, progettata e messa a punto dai fisici, figurerebbe bene in un libro di Michel Houellebecq (basta aggiungere un po' di torbido). Secondo me non conviene sperarci. Piuttosto mi preoccuperei del fatto che, mentre i protoni se ne vanno a spasso nell'anello di LHC, il buco nero per niente microscopico del capitalismo "modello americano" (e di conseguenza del capitalismo tout-court) non abbia nessuna intenzione di
evaporare. Sotto sotto un poco ne gioisco, inutile negarlo, ma è puro masochismo. So benissimo che ci saranno conseguenze anche per me.
Noi intanto continuiamo a sorvegliare la crisi del mercato immobiliare come degli sciacalli. S. dice che facciamo come il cinese che aspetta lungo il fiume di veder passare il cadavere del suo nemico (immagino sia colpa del taoismo se nell'aneddotica cinese c'è sempre tanta gente
che aspetta).
Avessimo solo deciso che cosa fare.
Sono d'accordo e spesso rincalzo tutte le maldicenze sulla Milano di oggi, anche se a volte mi capita di difendere la città per un automatismo, come si fa con qualcuno di famiglia o con un difetto fisico di cui non si va fieri ma che non si permette di canzonare. Eppure se lo merita. Dovremmo andarcene, ma le scelte fatte, le scelte, maledette.
Così non sappiamo ancora dove andremo, cosa faremo.
Forse non faremo niente.
Giocheremo a Guitar Hero. Preparerò qualche intruglio d'epoca scovato sul
Talismano della felicità (impolverata reliquia estratta dall'armadio a muro delLa Casa). Continuerò a sentirmi come in quel romanzo,
inguaribile.
posted by frammento at
14:46
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mercoledì, settembre 03, 2008
Dopo la rovinosa presa di coscienza dei trent'anni, i trentuno non sono niente. Fino ai quaranta - almeno - non batto ciglio.
Il che, non ho ancora deciso se significherà che chiuderò gli occhi fino ad allora, o che mi imporrò di tenerli sempre spalancati.
Fortunatamente il mondo finisce nel 2012.
posted by frammento at
01:39
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