venerdì, gennaio 11, 2008

Il giorno due eravamo in Versilia, faceva un freddo cane. Avevo promesso a mio padre che avrei portato dei fiori alla tomba di sua madre, cosa che io stessa volevo fare, così ci portammo al cimitero. Contrariamente alle visite nei reparti d'ospedale, in cui l'attualità del dolore mi fa sentire un essere indifeso e inquieto, le visite al cimitero non mi danno noie, se non quelle derivate dall'esposizione al kitsch estremo dell'arte funeraria Italian style; tant'è che ci permettemmo di trovare ironico che il fioraio del cimitero fosse "chiuso per lutto".
Dopo mezz'ora di ricerche vane, mi decisi a cercare qualcuno a cui chiedere. Così mi avvicinai a una coppia di becchini, uno aveva la sigaretta spenta in bocca, era immerso in una buca fino alla cintola e scavava, l'altro se la rideva e gli raccontava i fatti suoi, e mi venne di nuovo in mente quella storia che c'è sempre in Shakespeare un becchino che scava la fossa cantando.
Quando finalmente trovammo la tomba di mia nonna, scoprii che avevano scelto di portarle solo piante, piccole piantine da frutto, e ne ero felice, dato che non amo i fiori recisi, epperò avevo un mazzo di margherite gialle e nessun vaso, così mi misi a scavare con le mani nella terra umida davanti alla tomba, per trovargli un posto: cosa che mi fece sentire così bene che feci come il becchino; mi misi a cantare, nella mia testa, una canzone di tanto tempo fa.

posted by frammento at 01:13  0 commenti