giovedì, maggio 03, 2007

Allora mi prendo il tempo per un ricordo, così per rilassarmi. Mi è venuto in mente che già anni fa avrei voluto raccogliere brevi storie dei miei libri. Non già quelle che essi hanno serbato e svelato per me, ma quelle che in cui io li ho coinvolti.

Per esempio.
I Buddenbrook, di Thomas Mann.

Al secondo anno di superiori l'amica più devota che avessi cambiò scuola. Si applicò con costanza, i primi mesi, a preservare la nostra amicizia; io non feci altrettanto. Già rassegnata all'avverarsi di semplici probabilità, le favorii: ci perdemmo, trovammo altre persone, non le trovammo.
Un paio di anni dopo, mi citofonò. Se ne era andata di casa, viveva per strada. Stava con un tizio noto nel quartiere per le sue varie dipendenze.
Il presunto tossico era privo di incisivi e canini e più di una volta un (solo) altro bicchiere l'aveva mandato in coma etilico. Lo conoscevo anch'io, avevo avuto modo di apprezzare la sua sensibilità: nel periodo del mio massimo distacco dal mondo, a differenza di altri mi aveva accettato senza pregiudizi, perciò ricambiai.
Un giorno vennero insieme a trovarmi. Lei aveva prelevato i suoi (pochi) averi temendo che i suoi genitori le facessero bloccare il conto e non avendo dove tenerli, mi chiese di custodirglieli. Andai a prendere I Buddenbrook - mi sembrava ironico - e le feci vedere che li mettevo lì dentro, tra le pagine.
Dopo un paio di settimane partii per una breve vacanza. Mentre ero via, lui si presentò a casa mia, completamente sbronzo, a chiedere dei soldi, ma trovò solo mia madre: astemia, con una storica fobia degli alcolisti per via di pessime esperienze passate, si trovava davanti questo sconosciuto rabbioso che pretendeva dei soldi di cui non aveva mai avuto notizia.
Mi trovò solo ore e ore dopo, e non s'incazzò tanto per la situazione quanto per il fatto che, sentendomi colpevole per la mia leggerezza, non sapevo che altro dire a parte: "I Buddenbrook..."

Oppure.
Shangai Baby, di Zhou Weihu

Me l'aveva prestato una collega diventata amica. Io, lei e l'altra, ci trovavamo a cena in un ristorante iperkitsch lungo la strada statale di un triste hinterland, kitsch dal nome sull'insegna alle fioriere di polistirolo, al puzzo misto di fritto e sigaretta che aggrediva all'entrata e s'attaccava ai vestiti. Ridevamo puntualmente fino alle lacrime, stavamo bene.
Poi ci siamo separate e io e l'altra siamo entrate nel loop del bidone, abitudine che ci faceva affini. Io dovevo restituirle Shangai Baby, quindi quando ci davamo appuntamento me lo portavo dietro dalla mattina. Però puntualmente ogni volta che me lo portavo dietro, qualcuna di noi disdiceva l'impegno. Andò avanti quattro-cinque volte, ormai portavo il libro solo per influenzare il destino (non perché non la volessimo vedere, non le volessimo bene, ma per la solita questione che a volte la tentazione del bidone è irresistibile), era un gioco fra me e la mia affine. Non lo portai, e ci vedemmo. Lo portai, non ci vedemmo. Lo riportai, non ci vedemmo. Finimmo per non vederci più e il libro rimase a casa mia, sacro simbolo del bidone.
D'altra parte, il libro stesso era un bidone.

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posted by frammento at 03:51  6 commenti