martedì, aprile 10, 2007

Non so se mi fa incazzare maggiormente l'arte pessima o la critica pessima. Mi pare che mi porti più incazzature la seconda, perché decreta, incensa, giustifica espressioni per niente artistiche.
Trovo intollerabile che parlare di arte contemporanea oggi significhi tirare ancora in ballo Basquiat o Andy Warhol, se non come citazione: non ne posso più della solita minestra (Campbell's). Adesso che hanno aperto alla Bovisa il nuovo spazio della Triennale, la "Triennale Giovani" - questa Triennale Giovani che ha aperto i battenti con l'Informale (Hans Hartung)... - sono curiosa di vedere cosa ci propongono. Eppure la prima occasione (Timer 01/ Intimità), è stata sconfortante. Primo, perché fare assurgere l'11 settembre a suprema giustificazione per qualsiasi cazzata, è intollerabile almeno quanto la Campbell's soup come simbolo del contemporaneo.
Secondo, perché i miei gusti possono essere opinabili, ma ciò che trovo meno opinabile, è che per quanto un'opera possa essere di difficile lettura, se il critico per presentarla è costretto a spiegare come è stata realizzata ("questo artista fa sì delle fotografie banali, posso sembrare insulse, ma le fotografa due volte, due!") nel tentativo di farla apprezzare, non so che senso abbia chiamarla opera d'"arte". E' opera di pura tecnica! [Opere di questo tipo, l'esposizione ne proponeva parecchie].

A me piace l'arte contemporanea; non di rado, mi capita di apprezzarla anche quando è palesemente eccessiva, quando le mostre vengono vietate ai minori di 18 anni (è successo per "Sensation"), quando l'artista è poco meno di una pop-star (ah, a proposito, quel sadico di Damien Hirst, che mi attrae perché mi disgusta, adesso vuole annettere un macello al suo laboratorio in Glouchestershire). Però questo non significa che qualsiasi cosa possa essere arte. Non basta più la mera decontestualizzazione. Che palle.

posted by frammento at 03:34  5 commenti