mercoledì, marzo 07, 2007

Mi siedo nell’unico modo in cui sono capace di sedermi: come se fossi in procinto di scendere. Strizzata nel cappotto, con la borsa del portatile sulle ginocchia, le mani sulla borsa.
Il controllore, guardando e voltando il biglietto, mi dice:
“Non ferma in Centrale, questo.”
“Lo so. Non avevo voglia di aspettare.”
Sono stanca, penso.
Penso, è esattamente questo: sono stanca.
Ripasso le linee della mano, una lettura puramente tattile. Le cose non aspettano alcun segnale ("ora forse dovrei interagire con il pubblico").
Ciò che fingo d'aver capito sul vivere è questo: mangiare, bere, amare, leggere, grattarsi, sì.
E poi: adeguarsi - cosa che non mi è mai riuscita: e alla soglia dei trent'anni penso ancora che forse se continuasse a non riuscirmi guadagnerei un'opportunità di salvezza.
A volte mi sorprende quanto, sotto sotto, io dia per scontato che non morirò senza aver girovagato per l'Asia, senza essere stata abbastanza coperta per farmi allucinare dalla fata morgana al circolo polare artico, senza aver vissuto semplicemente dove avrei dovuto vivere, senza aver letto tutto.

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posted by frammento at 01:19  9 commenti