lunedì, settembre 04, 2006

Irlanda/0
Quando ci siamo conosciuti ogni tanto interrompeva un mio discorso per dirmi che stavo citando una canzone degli Smiths: lui era un filologo. Di solito era notte e noi eravamo in macchina. Io non guidavo, toglievo gli occhiali per guardare senza schermature il suo profilo. Le luci sfocate trascinate dalla velocità sfilacciavano i miei pensieri e io parlavo a fatica per iperboli, alternate ad assenze pregne di turbamento. Tornavo a casa, cercavo la canzone, ascoltavo. Mi rendevo conto che la motivazione al fascino che in qualche modo esercitavo gli era offerta dall'evidenza che io fossi una canzone degli Smiths. Non lo trovavo offensivo. Trattandosi di lui, di me - e trattandosi degli Smiths -, la consideravo la più alta espressione di romanticismo che ci fosse concessa e che ammettessimo. Più avanti mi ha accusato di voler essere un'eroina romantica, ma suppongo che abbia capito che non c'è niente di romantico nell'amore e nel desiderio dell'altro così spietato, che non ha condizioni né bilanciamenti - una volta lui m'aveva detto che era la mia infelicità così irriducibile (che pure io sminuzzo, trito e ritrito) a rendermi attraente.
Andando verso nord nel Donegal, ci siamo trovati circondati da torbiere, con il cielo che arrivava fin sulla strada, ed eravamo soli, equidistanti dall'ultimo e dal prossimo villaggio alcune decine di chilometri. Pensavo, il mio deserto: non so se mi sentirei altrettanto a mio agio nel Sahara, ma quella brumosa desolazione non mi ispirava alcun timore. Mi riempiva. Ogni tanto s. rallentava per farmi accarezzare una pecora BlackFace e vederla fuggire agitando comicamente la sua estremità solitamente meno espressiva, vello all'aria.
Vagando in cerca dell'ostello a Glencolmcille abbiamo infilato una strada che andava restringendosi sempre più, sempre restringendosi a filo della scogliera, senza alcuna protezione. Ogni tanto sbucava un veicolo a ottanta all'ora da una curva e noi ci schiacciavamo sui sedili gesticolando come ogni automobilista, e ogni altra categoria umana, capisce. Eppure, passando in rassegna ogni tipo di morte violenta cui saremmo potuti andare incontro sulla scogliera, il primo pensiero è stato che forse se fossimo morti lì non avrei avuto niente da eccepire: ero felice, non pensavo a niente che non avessi davanti agli occhi, non c'era uno spazio che sentissi mio più di quell'istante, ed ero con lui. Ma che questo fosse There's a light that never goes out, me ne sono resa conto solo quando ho infilato un cd nell'autoradio in Connemara.

posted by frammento at 00:55  0 commenti