venerdì, luglio 21, 2006

L'altro giorno ascoltavo il maître à ticket dichiarare che quando gli è possibile non va ai concerti, perché ne ha visti troppi per lavoro.
L'affermazione mi ha allarmato. Smetterò di leggere libri per piacere? Mi priverò a lungo andare della mia terapia di malessere controllato? Negli anni, non di rado, sono stati solo i libri a tenermi in equilibrio - per quanto, a volte, la sensazione fosse quella di stare in equilibrio su una tavola di legno con vista sull'oceano e avere dietro un tizio dall'occhio bendato che mi punzonava la schiena.
In questo periodo sto lavorando alla revisione di testi tecnologici (impaginati in modo curioso, ma pur sempre tecnologici) e, cosa che non pensavo, ci si può quasi lasciar coinvolgere. Ad esempio il Collega, dopo avermi regalato una mappa dell'Irlanda disegnata da lui medesimo con tanto di folksonomy, ha arricchito in fase di revisione un capitolo con una scelta di videate a proposito del PaeseCheIoNonVisiterò (ca***). Io, dovendo in alcune occasioni trovare ricerche più chiarificatrici, ho sostituito a Mtv i Decemberists, e via così.
Un giornalista l'altro giorno a pranzo ha detto che il romanzo è una forma narrativa che probabilmente non ha più ragione d'esistere, perché ora è la vita reale a narrarsi, ma poco dopo ha raccontato di essere andato a sentire McInerney leggere brani di The Good Life alla Milanesiana e io gli ho puntato l'indice al petto. Non mi indigna, mi dà l'affanno piuttosto, sentir dire che il romanzo non parli di vita reale, come sarebbe sentir dire che in ogni caso è di quella che parla. Per quanto ami tutti i paraphernalia del lettore, da qualche tempo ho persino lasciato perdere i segnalibri, di qualsiasi foggia. Passo dal libro alla strada agli altri alle cose al libro al mangiare agli altri al dormire (poco): così, tutto di seguito e tutto allo stesso tempo. Ci ho provato, ma non riesco a creare compartimenti stagni, e allora mal vengano i segni di interruzione. Così se va in vacca qualcosa, va in vacca tutto (perché "in vacca", poi? "in", in che senso, voglio dire?).
Ora che abito ai margini del campo editoriale (a piedi nudi sull'erba), mi capita di leggere ciò che pubblicano o pubblicheranno amici e vicini di scrivania. Vedi adesso, vado in giro con in borsa una bozza patafisica e scaramantica di un caro carissimo amico e la biografia di Nico scritta dal maître a tickets. E incrociarci dopo che/mentre leggo i loro libri mi dà un immenso piacere.

Il capo mi ha portato un articolo del Manifesto sul mio amico, ovvero Dave Eggers. Dice tante cose, alcune le sapevo già, altre no. Tanto, è il solito particolare infinitesimale a catturare la mia attenzione. Laggiù, c'è una libreria che si chiama A Clean Well-Lighted Place For Books. Voglio andare a San Francisco.

posted by frammento at 01:23  0 commenti