giovedì, gennaio 12, 2006

Avevo una gran voglia di storie, non so perché. Il giorno che mi sono sentita male ho rivendicato il diritto di farmele leggere e, dopo aver cincischiato con un antiemetico, mi sono infilata sotto il piumone e ho indicato dove prelevare il libro prescelto. E' così che ho scoperto che era scomparso - ed è così che ho finito per richiedere Brookmyre, lì dov'è irresistibilmente pulp, comicamente nero.
Erano però tutte pagine già lette. Mi trovavo nella sgradevole situazione di essere circondata da libri, anche intonsi, e di non trovarne uno da desiderare.
Succede, quando sono appena stata abbandonata da un libro. C'è un punto fermo, il punto finale, che di alcune storie è mero limite grafico. Eppure è disorientante osservare un comune tondino nero, altrove un respiro, ingurgitare famelico promesse smisurate.
La mia discrezione viene meno quando in metrò colgo qualcuno davanti all'ultima pagina di un libro: lo osservo, sto con il mento appoggiato all'incavo del braccio aggrappato al sostegno. Quando sono io a finirne uno, alzo la testa con lentezza perché mi sento osservata, tremendamente esposta, come se piangessi in pubblico o come se avessi fatto una di quelle cose che faccio regolarmente, come inciampare nei miei piedi mentre ho sul viso un'espressione stupidamente seria.
Terminati i racconti di Hannah Tinti in Animal Crackers, ne avrei voluti altrettanti ancora. Arrivata al punto, ho chiuso il libro di botto. Nei giorni seguenti non riuscivo a scrollarmi di dosso alcune immagini modellate a paragrafi spigolosi e passione crudelmente slavata, e non trovavo un nuovo libro da desiderare. So per esperienza che quando sono confusa dai libri come da una piatta moltitudine (un territorio senza eredi/senza muri?), ho bisogno semplicemente di storie. E, ecco, tendo a soddisfare questo bisogno con le storie di Paul Auster. Non lo leggo mai in altre occasioni, eppure non è un ripiego. Intendo dire - questo naturalmente perché ho cofanetti di tre serie di sex&thecity a cui mi affido per le citazioni antropologiche - che non è l'amico per il sesso con il quale vige un accordo tacito di mancanza di implicazioni. Al contrario.
Sento la necessità specifica di Auster, perché la sua è una scrittura di storie, di chi fa del raccontare una questione di sopravvivenza, di chi dalle storie non rimane illeso, né immutato.

posted by frammento at 10:43  0 commenti