mercoledì, dicembre 28, 2005

Dio, che freddo. Pensavo, adesso mi alzo e scrivo, e invece stavo lì, coldbathing, a crogiolarmi al freddo e fra i germi dell'altrui raffreddore, tra le lenzuola di flanella. Il contatto fra la punta del naso gelida e la mano e il miraggio della libreria di iTunes mi hanno strappato al torpore e alla digestione della sbrisolona del dopocena. Ma dio, che freddo.
Al pranzo di Natale con i miei, abbiamo guardato il film che gli ho regalato. Io mangiavo pane e formaggio e mi sbrodolavo con i lychees, così da non lasciare intendere erroneamente che mi sarei messa la gonna due giorni di fila. Mio fratello, la porta della camera accostata, provava sulla chitarra lo stesso giro di accordi almeno un milione di volte. Io aspettavo, fumavo, e non so che altro, forse bevevo il Porto di mio fratello, dato che era in camera.
Nelle scene sullo schermo, un personaggio ne aveva ferito un altro con una rivelazione e confermava di averlo fatto con intenzione, perché non ne sopportava l'incoscienza. A me dava da pensare la mia incoscienza, che a volte sento intollerabile e maligna. Non la sconsideratezza, non l'avventatezza, spesso benvenuta e salutare. L'incoscienza. Mi fa male. Eppure il rimedio è sempre più doloroso.


posted by frammento at 13:09  0 commenti