martedì, ottobre 18, 2005

Sabato a cena dopo l'ennesima fiera libraria a tavola ci sono otto persone: un giornalista malpelo, una curatrice editoriale, due +redattori-, un editore in perdita con cefalea, un editore in attivo con letizia (sorriso fascinoso di fortuna e di merito, palesemente consapevole, ma con umiltà) e due simpatizzanti.
Dopo aver ascoltato la storia - recente - dell'ex-tutt'altro ora editore in attivo, siamo ammutoliti, ognuno a fare conti, chi con l'invidia, chi con la nausea del risveglio feriale, chi con la speranza di potersi stravolgere la vita a trenta, a quaranta, a cinquant'anni, chi "Ti andrebbe di raccontare questa storia per ****** (nota rivista della settimana)?". Il giornalista elabora la sua deformazione professionale con un amabile accento romano acquisito, e l'editore annuisce da capotavola. E' di fianco a me, lo guardo e mi chiedo se avrà una coscia d'oro e a quanti carati, ma mi impedisco di verificare per non essere male interpretata.
Sento poi il mio nome e un amabile accento romano acquisito: "E tu? raccontaci la tua storia". Oddio, siamo nel fumetto di Gaiman. O nel libro di Benni. Mi faccio rossa, bordeaux, indaco: "Ehm, potresti posare quella penna?". La mia storia. Non è che tu possa scriverci su. Io ci scrivo ma insomma, sono una forzata della scrittura di sè - tengo gli appunti, tanto non si rifiniscono. Collidono, si sbriciolano.

Desiderare di sedersi ad aspettare il futuro. Ecco, già anni fa avrei dovuto sedermi dietro a qualche altra scrivania. O sopra (sotto no però, eh).

posted by frammento at 15:32  0 commenti