mercoledì, agosto 10, 2005

Il riferimento di Ric al cialtrautore campano deve avermi ispirato del disamore, per quanto non perpetuo, nei confronti del libro di Donna Tartt, che al momento langue sulla mia sedia perfettamente a suo agio mentre il putto in copertina mi importuna con il suo bieco sguardo die-cut. Ammetto che una certa freddezza derivi anche dalla cacofonica concisione del Daily Mirror, secondo cui il volumetto è "unputdownable". È meraviglioso che l'inglese permetta sintesi in altre lingue impensabili, per giunta di esclusiva pertinenza libresca, ma "Unputdownable" è esasperante. È poltroneria con pretese creative. Poi è orribile da pronunciare, dai.

Vagabondare per Milano in agosto è un'esperienza metafisica non tanto per l'improvvisa espansione degli spazi, quanto piuttosto per il desiderio di trascurare la meta - che in ogni caso sarebbe chiusa per ferie.
Misurando le ombre bislunghe dei palazzi sulle strade non sono stata disturbata da alcun clacson, in compenso sono stata rincorsa dagli ambulanti che evidentemente in questo periodo non fanno giornata.
Assoggettata alla mistica del Grande Vuoto, mi sono data a Viktor Pelevin, o meglio al suo nuovo "La freccia gialla". Per Pelevin ho un'ammirazione incostante, che varia impercettibilmente da libro a libro, e sensibilmente da paragrafo a paragrafo. Non manca mai di incuriosirmi però, e gli sono fedele, nonostante la collana Strade Blu lo vesta veramente male.
Pelevin è un russo che scrive romanzi buddhisti. Utilizza contestualmente nozioni buddhiste, ma, soprattutto, scrive romanzi che somingliano a lunghissimi koan.
Ha un umorismo sulfureo che spesso si traduce in squisito nonsense, talvolta talmente astratto da risultare letterariamente triviale, e a me piacciono la versatilità dei suoi registri e il rifiuto e la consacrazione intermittente dell'idea russa. La Russia è un movente e a proposito di essa, il lettore non-russo sente di non riuscire neppure a valutare il calibro della propria ignoranza.

"Chiusosi la porta alle spalle, Andrej aprì il rubinetto, gettò un'occhiata alla sua faccia nello specchio e riflettè che negli ultimi cinque anni non è che si fosse fatta più matura o più vecchia, ma, più che altro, aveva perso d'attualità, come i pantaloni a zampa d'elefante, la meditazione trascendentale e il gruppo Fleetwood Mac. Negli ultimi tempi circolavano facce del tutto diverse, tipo stile prebellico anni Trenta, e ciò dava la stura a un mucchio di conclusioni."

[Ah, per chi nello studio del russo non si fosse arenato poco più in là del caso genitivo, come me, sul sito c'è una generosa scelta di testi e letture.]



posted by frammento at 02:55  0 commenti