venerdì, agosto 19, 2005

Due giorni fa mi ha telefonato la mia amica S., mi ha detto che l'indomani avremmo dovuto andare a un funerale.
La notte avevo sognato mia nonna che si straziava le mani ansiose, con quel suo cruccio descritto dalla curva delle sopracciglia. "Nonna, cosa c'è?", "Ho perso... ho perso il coso, l'ho perso, quello... il... come si chiama, dev'essere là dietro... trovamelo, nini... me lo cerchi?". E io cercavo e, story of my life, non trovavo.

Il ricordo recente della scientificità precauzionale di mia zia nello spiegare ai nipoti cosa fosse la morte mi ha strinata. Non che io vi veda altro che un processo, per giunta rettilineo, in fin dei conti sono una rozzissima atea materialista; non di meno a volte mi disturba sentirla parlare di morte o di sesso ai bambini in termini medici. Vuole che non si facciano idee meno che laiche, che si risparmino mistiche divine, che sappiano da subito che si tratta di manifestazioni naturali; vuole che non abbiano dubbi. Approvo le sue preoccupazioni, eppure mi inquieta l'atteggiamento ossessivo secondo cui per impedire ai bambini di attribuire ai fatti della natura un'origine e una deriva trascendente, li si priva di una certa natura umana. Che poi, sarà fuori luogo ma, mi viene in mente la puntata di Sex & the City in cui Carrie esce con un giovane scrittore e sua madre, la quale per evitare che egli travissasse qualcosa a proposito di sesso e di sesso e morale l'aveva cresciuto parlandogliene correttamente in modo assillante e lui ha finito per soffrire di eiaculazione più che precoce, fulminante. Per dire.

Durante il funerale ho sudato freddo, sentito le gambe disfarsi, ho scambiato dei madidi segni di pace, per ore mi hanno trafitta le contorsioni dello stomaco che avrebbe voluto divorarmi. Conosco l'inevitabilità, è naturale, la comprendo perfettamente. Nondimeno, fa male. Mi pare naturale anche questo.

Per una volta però, il prete non ha fatto ribollire il mio sangue miscredente. Ha parlato soltanto brevemente del regno di Dio e ha parlato invece di C., ha detto che era un (giovane) "signore". Era un signore perché sapeva essere disponibile e aiutare con delicatezza, e sapeva accettare l'affetto con gratitudine. E a pensarci, niente poteva essere più vero.


posted by frammento at 05:36  0 commenti