domenica, giugno 12, 2005

"La Dave's Insanity Sauce è riconosciuta da tutti come la più malefica, la più atroce, la più irritante delle salse piccanti. A questa salsa è ispirata la Guatemalan Insanity Sauce, che ha fatto fare a Homer Simpson un'esperienza psichedelica nel classico episodio dei Simpson del 1997. Essa ha anche il privilegio di essere stata vietata al National Fiery Food Show (Fiera del peperoncino) di Albuquerque (Nuovo Messico), perché un signore anziano, dopo averla provata, ebbe un lieve attacco cardiaco. Attenzione, quindi. Il creatore della salsa, David Hirshkop, indossa una camicia di forza quando reclamizza la sua salsa e consiglia di non usarne più di una goccia per volta. Per persone con appetiti più ragionevoli c'è sempre la Temporary Insanity Sauce.
Per assecondare il vostro masochismo-masochismo, preparate una ciotola di popcorn. Mentre il mais scoppietta nella padella, mescolate in un pentolino due cucchiai di burro con un cucchiaio di zucchero di canna e un pizzico di sale ed aggiungete esattamente..."

Sulla quantità di Insanity Sauce mi permetto il riserbo. Anche perché io sono di un'irragionevolezza quasi invertebrata nel dosarmi - pur sapendo che poi sarà inutile (sebbene inevitabile, dopo tale offensiva peperotecnica al palato) piangere sulla salsa versata.
Per assecondare ulteriormente il mio masochismo-masochismo ho deciso che la leccornia sarà delibata davanti a film di Wong-kar Wai che la mia amica (davanti alla traduzione del libro che lo ispirò) ha confessato di non aver mai visto, facendomi ululare al reparto tascabili come un lupo in una notte di luna storta.
Ho trovato la ricetta del popcorn della follia su un libro divertente di Stewart Lee Allen che parla dei cibi criminalizzati e proibiti, e la cito tanto per poter dire che non viaggio solo con la mente.

Dice ancora:
"Nel 1606 il re d'Inghilterra Giacomo I dette un ricevimento memorabile, durante il quale le nobildonne che dovevano rappresentare le sette virtù si ridussero in un tale stato di abbrutimento a causa del cibo e dell'alcol che non riuscirono a recitare le loro parti. "La 'Fede' era piegata in due nel salone inferiore che vomitava l'anima," scriveva un corrispondente presente alla scena "mentre la 'Giustizia' giaceva addormentata in preda ai fumi dell'alcol.
[...] Ma sono i greci, solitamente morigerati, ad avere l'ultima parola in merito. Nel senso letterale, perché la parola più lunga del loro vocabolario è un piatto di cui parla Aristofane nel suo Ecclesiazuse:

Ora con passo ratto, agile, lesto,
dirigetevi al desco perché presto,
fumante svetterà un manicaretto, colmo di pollo, pesce e selvaggina
[chiamato]
Plato-filetto-muggine-ipoglosso-cranio-morso-salato-acido-silfio-miele-
versalosopra-tordo-colombaccio-piccione-costoletta-arrosto-zucca-merlo-
leprottino-sciropposo-frattaglia-alatouccello
Ed or che la novella a voi è svelata,
presto afferrate un piatto e una frittata"

A proposito di curiosità sul cibo, ho una testimonianza recente. Ieri un compagno di ritorno da un semestre a Kyoto ha disteso su un tavolo angusto una cartina consunta. Ammiravamo una città kirigami, la cartina prima ci scherniva con il suo ripudio della toponomastica e dopo ci blandiva con la sua accessibilità, perché essendo muti gli indirizzi emergevano i luoghi e l'eredità urbanistica dei Tang, la griglia. Poi a un certo punto si sono materializzati sul quadrato del quartiere di Gion per me e qualche quadrato a nord per t. dei dolcetti tipici.
Oppai chocolate. Avendo avuto un gingillo ciascuno, ce ne siamo andate con la monotetta da borsetta.
Ora, addentarla o invocare una divina protezione approntandole un altare sul ripiano più alt(r)o del frigo?


posted by frammento at 15:03  0 commenti