martedì, aprile 27, 2004

Non vi aggiorno periodicamente sui miei referrers e non comincerò, ma mi preme una questione.
Nel post precedente dicevo che da bambini avevamo un'infinità di nomi che venivano riproposti ossessivamente in ritornelli feroci. Ma crescendo mi sono decisamente rammollita, gli ultimi battesimi (di pelouches, non avendo animali) di cui sono responsabile sono parabole d'inermità. La balena "Ismaele", il gatto "Rodolfo" e Sully di Monsters&co. "Sully" (bè).
Insomma, qualcuno (l'istinto femminista dice di genere maschile) nel cercare nomi fichi per pitbull è finito qui.
Il fatto è che ora come ora a me vengono in mente pochi suggerimenti. Chessò, Kurtz, Mr Teeth (pensavo a Mr Bones di Auster, ma perchè non anche a un wisHdom tooth?), se maschi; Oriana, se femmine.

[No, no e no. Io consiglierei Teppoudama (dato che lo yakuza dev'essere come un proiettile per il suo oyabun); o se foneticamente non intimorisse abbastanza, Yubitsume (al primo sgarro porgi il mignolo). Ho appena studiato che la pratica minatoria yakuza prevede l'idiomatica "credi di potermi l e c c a r e ?", tutto sommato piuttosto canina]


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giovedì, aprile 22, 2004

Uno spiraglio di verde che è come un incavo profondo fra due braccia nivee, distese: è una foto scattata dall'interno, non una foto significativa, solo la prima che associo al Museo Serralves di Porto, a cui si accodano tutte le successive richiamate da quella, ritornello e strofe.
Nel periodo in cui l'ho visitato c'era una retrospettiva su Nan Goldin, una che considera la fotografia un modo di toccare qualcuno - una forma di tenerezza e che raccoglie anime e corpi fragili in un diario di affetti.
Si scostava un tendone scuro e ci si accomodava a terra fra profili silenziosi nel salone dove scorrevano le diapositive, le ballate di una vita e una ballata di Bjork.
Poi si ritornava alle pareti bianche, la musica dietro il tendone continuava, le foto apparivano in un ordine diverso, una vita ripartiva, imprevista, carburata di emozione.
Dopo un paio di spigoli appariva il rettangolo di giardino in fondo al corridoio stretto, il taglio nella pelle diafana del museo offerto al visitatore in modo che si lasciasse toccare dal mondo esterno senza aggressione, come per una forma di tenerezza.

Da bambini eravamo emuli di Indiana Jones, avanzavamo millimetricamente aggrappati alla ringhiera sopra la fontana dei giardini a Porta Venezia, avevamo giacche tappezzate di taschine che ci facevano più pescatori che archeologi, vantavamo la padronanza di materie sconosciute indispensabili e un'infinità di nomi. Un'infinità. Accompagnati da jingle feroci.
(Più avanti negli anni, un amico mi ha elencato le espressioni con cui mi riferivo a lui e poi ha aggiunto che potevo usare qualsiasi altro sinonimo volessi e solo io potevo e mi sembrò che mi offrisse un enorme immeritato potere.)
So di ricamare sui miei sintomi di ottusità e confezionare pensieri sterili. Ma dev'esserci stato un giorno (a me viene in mente un gazebo d'estate, il sole che sottolinea brutalmente l'abisso di un volto ossuto; ma è un'immagine che non rimanda a niente, solo a sè stessa), in cui i nostri nomi sono diventati cose smesse e siamo diventati dipendenti da qualcosa, da quella paura per cui per molto tempo non ho trovato sinonimi e di cui tu adesso non riesci a fare a meno. Perchè poi "avere il controllo" è diventato quell'utopia e quella necessità che pure si disprezza.


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it starts with a fall

Ieri ero prigioniera di spirali di incomunicabilità. Alla considerazione che spesso scrivo cose incomprensibili era seguita la diplomatica concessione che esprimo le mie sensazioni interne raccontate in modo non-sequenziale (vedo che qualcuno con delicatezza dice surreale), ma ormai mi ero immedesimata in una scultura giacomettiana. Cercandomi dunque sul sito del (o della?) Kunsthaus di Zurigo, ho trovato, mi sono trovata, giusto:

Fragments
Since his days at the Academy, it had been easier for Giacometti to create simple, individual parts of a model rather than entire figures. [...] memorials of raw, torn-off body parts. The cracked surface, which reflected light more dynamically than the earlier smoothly polished surface, lends the sculptures an immediate and ghostly vivacity apparent not from a fleeting superficial impression but emerging from the inner core of the work's essence.



Anche se ammetto che parlare di una mia "immediate ghostly vivacity", forse richiederebbe una inverosimile benevolenza.

tsuyo no yo ya
tsuyo no yo nagara
sarinagara


il mondo di rugiada
è un mondo di rugiada
eppure, eppure...

(kobayashi issa)

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martedì, aprile 20, 2004

Io non chiedo mai niente.
Quasi mai. Ma con tutti i desideri espressi quest'estate all'ombra des jeunes filles en fleurs e en chador ultimamente ho la tendenza a resistere a tutto fuorché alle predizioni. Irriducibilmente, anche davanti alla descrizione "PSICO-TAVOLO - Chiromanzie digitali, con un tocco di sadismo". Sarebbe mortificante se non si vociferasse di umorismo patafisico ectoplasmatico - a cui in parte sono grata dato che il surriscaldarsi del parapsico-tavolo ha fatto almeno riacquistare alla mia mano una temperatura che l'aveva abbandonata appunto l'estate scorsa.
Cos'è l'Interaction Design?
Una risposta potrei trovarla nel libro di Sedaris che ho aperto a pagina 23 per giocare con Macubu, qualche racconto più avanti:
"La gente potrà... potrà..."
Nel formulare le sue utopie, mio padre regolarmente raggiungeva un punto in cui le parole gli venivano meno. Al pensiero di questo ineffabile qualcos'altro il suo sguardo si faceva sognante e gli occhi gli brillavano. "Voglio dire...Dio!" commentava. "Riuscite a immaginarvelo?"

Un'altra potrebbe essere l'immagine di un mio amico, sabato, che arranca su un concetto e alla fine butta lì: "voglio dire, adesso g. (sua figlia) è... è... più interattiva". Procreare nel Bello (ma che c'entra? maledetto Jarry).
Insomma, l'Interaction Design deve essere qualcosa che provoca un certo affanno fàtico. Però dovrebbe essere anche qualcosa che renda meno insidiosa la via delle nuove tecnologie. Per esempio quando sbatto la testa contro la parete sperando in una qualche rivelazione potrebbe accendersi la luce o partire un requiem. Oppure quando sono al telefono invece di fare ghirigori sul bloc-notes o segnali di fumo con la sigaretta potrei, sfiorando la superficie del mobile, inviare richieste di soccorso luminose. Poi, se non fossi vergognosa, nel ventre del pallone Ciccio che custodisce gli audiograffiti registrerei la versione sonora di quella foto che ho sempre invidiato all'oste Aldo: un disarmante "è un momentaccio" fissato (poco momentaneamente) a pennellate su un muro.
Quando mia madre si avvicina a una novità tecnologica a casa cerchiamo riparo sotto elementi portanti e io a volte immagino una roulette nell'oblò della lavatrice (credo che c'entri con l'imprevedibilità dei miei bucati, spesso rien ne va plus). Dev'essere per questo che trovo queste mostre meravigliose, perchè permettono di testare le nuove tecnologie giocando. E mi pare che anche la nuova accompagnatrice abbia gradito l'aspetto ludico: o almeno, io un certo punto l'ho vista rimbalzare su un pallone Pon-Pon in una forsennata partita a PacMan con alleata tedesca...

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giovedì, aprile 15, 2004

Un'idea divertente riportata da Macubu, una di quelle a cui non riesco a non aggregarmi:


  1. Prendi il libro più vicino.

  2. Aprilo alla pagina 23.

  3. Trova la prima frase degna del benché minimo interesse.

  4. Posta il testo della frase nel tuo blog insieme a queste istruzioni.


"Avrebbe potuto studiare il sassofono, non fosse stato il figlio di una coppia di immigrati per cui persino le presine da cucina costituivano una stravaganza. I suoi genitori, poi, ascoltavano solo musica greca, definizione quest'ultima che per il resto del mondo rappresenta un puro ossimoro. Pigliate un gatto randagio, schiacciategli con forza la coda nel portellone del camion del latte, e quello come niente vi ulula un singolo destinato a spopolare nelle classifiche di Sparta o Salonicco. Per mio padre il jazz era stato l'unica forma di ribellione."

- David Sedaris, Me parlare bello un giorno



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martedì, aprile 13, 2004

Al Tg3, l'inviata a Baghdad dice: "(Hazem al Araaji, n.d.b.) uno dei bracci destri di Moqtada Sadr..."

Ah, povera inviata. Tutta la settimana in giro per il mondo, dev'essere incappata in una forma giornalistica di jet-leg ("arm", via - ho notato una sua speciale predilezione per l'espressione anche nelle precedenti edizioni).
Per quanto mi riguarda, mi auguro che abbandonarmi a queste riflessioni sia un meccanismo automatico per difendermi dalla tragicità di certe notizie.
Ad ogni modo, non è che sia concettualmente sbagliato, in assoluto. Dopotutto nell'India indù chi potrebbe trovarci qualcosa da ridire?


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domenica, aprile 11, 2004

Easter Revival
Ohhh! E anche il calvario del film pasquale orrido l'abbiamo affrontato.
Un'interpretazione ortodossa prevedeva la presenza di noi quattro e la scelta di un film in base a costanti liturgicamente rigorose:

- "Ma non è il regista de ...?"*
- "Hanno aperto un cinema nuovo vicino a casa mia"
- "Mi hanno detto che mette strizza come "The Ring" (prima era: come "Il sesto senso")"
- Spiriti che si impossessano di corpi, corpi che s'impossessano di corpi, corpi che acchiappano incubi
- Locandina blutonale

Niente di gibsoniano, eh (probabilmente la locandina blu sola poteva fugare dubbi).
Poi, a voler essere proprio integralmente ortodossi saremmo dovuti andare in giro con una multa di umiliante entità sul cruscotto, ma insomma abbiamo evitato volentieri; anche per non essere troppo scopertamente insulsi e scontati e dimostrare di averlo meritato, questo film pasquale.

* che a me piaceva tanto come co-protagonista di quel favoloso film...


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giovedì, aprile 08, 2004

Mi segnalano stralci dal Corriere di oggi.
"[...] Spetterebbe all'amministrazione dell'Iraq fare a quel punto un passo, chiedendo magari il coinvolgimento della Nato. Francia e Germania potrebbero decidere allora quale ruolo avere". Al ragionamento del ministro degli Esteri, l'ex capo dello Stato Cossiga aggiunge alcuni dettagli importanti: "Il segreto per coinvolgere Parigi e Berlino in un quadro Nato, è una seria spartizione delle risorse petrolifere. E su questo punto è possibile, oltre che opportuno, coinvolgere anche la Russia".

Niente di nuovo, ma tutta questa deliziosa franchezza mi scombina il riepilogo grammaticale. Stavo navigando fra degli esercizi sul vocabolario e ho trovato quelli sull'uso dei partitivi countable/uncountable. Ora, ci sono due stick of butter, un loaf of bread, due piccoli teaspoons of sugar, persino a bunch of bananas. Solo non si vede un attualissimo piece of information: tutti quei barrels of democracy. Uncountable.


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domenica, aprile 04, 2004

ore confuse della notte, la malinconia non è uno stato d'animo*

Ah ma allora non è finito il nostro idillio! Con entusiasmo antinomico l'ho desunto da "Farewell" (g. l'ha salutata gridando "firewall!", e dire che "g." non sta certo per geek) e all'attacco di "Autogrill" ero già in ginocchio a chiedere la grazia per la piùcchetriplice rinnegazione degli ultimi tempi. Anche se sapevo quanto fosse difficile ottenerla visto che non ho mai mostrato di pentirmi del giudizio sull'ultimo album - e non ho imparato a memoria le canzoni. C'è qualcuno che vuole digiunare per il ripristino della mia salute mentale?
Ecco, a proposito, al bancone del bar si è svolto un dialogo:
svizzero in trasferta: "scusa c'hai una canna?"
M.: "no, mi spiace"
svizzero in trasferta: "no, senti sono offeso"
M.: ?
svizzero in trasferta: "come svizzero, sono offeso. vengo in italia a vedere un concerto e nessuno mi offre una canna"
M: "svizzero, ehm?"
svizzero in trasferta (con indignazione cantonale): "a cosa serve fare bene gli spaghetti, eh?? se poi non c'avete una canna da fumarvi in un palazzetto? Cristo, sono disperato, adesso vado a chiederla a uno sbirro"
Non ci siamo sentiti di deluderlo anche sul particolare degli spaghetti.

*[Canzone di notte, 1970]

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giovedì, aprile 01, 2004

Story of my life
"In the Resistentialist cosmology that is now the intellectual rage of Paris Ventre offers us a grand vision of the Universe as One Thing - the Ultimate Thing (Dernière Chose). And it is against us.
[...]
A convenient point of departure is provided by the famous Clark-Trimble experiments of 1935. Clark-Trimble was not primarily a physicist, and his great discovery of the Graduated Hostility of Things was made almost accidentally. During some research into the relation between periods of the day and human bad temper, Clark-Trimble, a leading Cambridge psychologist, came to the conclusion that low human dynamics in the early morning could not sufficiently explain the apparent hostility of Things at the breakfast table - the way honey gets between the fingers, the unfoldability of newspapers, etc. In the experiments which finally confirmed him in this view, and which he demonstrated before the Royal Society in London, Clark-Trimble arranged four hundred pieces of carpet in ascending degrees of quality, from coarse matting to priceless Chinese silk. Pieces of toast and marmalade, graded, weighed, and measured, were then dropped on each piece of carpet, and the marmalade-downwards incidence was statistically analysed. The toast fell right-side-up every time on the cheap carpet, except when the cheap carpet was screened from the rest (in which case the toast didn't know that Clark-Trimble had other and better carpets), and it fell marmalade-downwards every time on the Chinese silk. Most remarkable of all, the marmalade- downwards incidence for the intermediate grades was found to vary exactly with the quality of carpet.
The success of these experiments naturally switched Clark-Trimble's attention to further research on resistentia, a fact which was directly responsible for the tragic and sudden end to his career when he trod on a garden rake at the Cambridge School of Agronomy
[...]
Ventre's work brings us a great deal nearer to the realization of the Resistentialist goal summed up in the words, 'Every Thing out of Control.' "


da: Paul Jennings, The Jenguin Pennings



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Andando a vedere "The Company" ho ripensato a tutte le volte in cui avrei desiderato essere ballerina. Tre, più o meno. Due, se non avessi rimpianto così intensamente di non averlo desiderato quella volta che ho attraversato una pista da ghiaccio sdraiata sul ventre dopo una problematica involuzione sui pattini e sono stata restituita inerzialmente alla porta degli spogliatoi. Una, se nell'unico corso che ho tentato non mi fossi innamorata del maestro di danza, la cui eterossessualità era piuttosto latente e in ogni caso poco incline al controtransfert (almeno nei miei confronti). Bè, insomma, se non fosse che ho seguito l'ascesa della mia amica carissima del liceo fino all'ingresso di un teatro milanese, penso che non l'avrei mai desiderato: non è mai stato abbordabile quanto a psychique du rôle, ma soprattutto non ho mai avuto capelli lunghi vaporosi - o vamporosi -

 

vamporoso, agg. m.,(detto specialmente di capigliatura) che sprigiona un fascino aggressivo, alimenta passioni ardenti

 


né graziosità intramontabili quali efelidi o fossette. Mie personali deficienze a parte, il film di Altman parla proprio di una danza che non è carineria. Lo dice il personaggio di Malcom McDowell, "Non dovete essere carini. Io odio il carino"; c'è da credergli, se lo si ripensa giovane mentre tiptapeggia con bombetta e bastone cantando singin' in the rain. Più avanti dice ancora "Voi non dovete eseguire un movimento, dovete essere il movimento": è un concetto che la danza condivide con le arti marziali, e non è l'unico. Si parla di fatica, di esercizio. Il buddhismo zen vuole che si parli di disciplina nella spontaneità e spontaneità nella disciplina: la rozzezza del movimento che con la ripetizione, l'infinta ripetizione, si trasforma in consapevolezza fisica e intellettuale e infine in fluidità istintiva che si disfa del pensiero.

Ad ogni modo, il balletto iniziale è talmente ipnotico che sembra l'animarsi di un Mondrian, ma il balletto finale è talmente kitsch che ristabilisce un rapporto paritario anche con lo spettatore non-ballerino ormai fisicamente annichilito.


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