giovedì, settembre 16, 2004

Questa notte mi ha aperto gli occhi. Più che altro, Jonathan Coe e Smiths a parte, questa notte ho tenuto gli occhi aperti. A mezzanotte e mezza la vicina di casa è venuta a cercare competenza medica per i suoi sintomi: naturalmente la cercava in mia madre e non in me e tuttavia riconoscendo la voce rotta al di là della parete, sono uscita dalla mia stanza, vuoi per l'amicizia che fu, vuoi perché in questo specifico caso potrei giustificarle ogni scivolone psicosomatico. Quando è andata via, risollevata ma non troppo, mi sono infilata sotto le lenzuola per leggere fino a stordirmi; ero in una posizione così rigida che mi sentivo una trasfigurazione del Cristo Morto del Mantegna e forse segretamente speravo che entrasse mio padre e si mettesse a misurare la stanza dest-sinist come faceva a Brera per meravigliarmi con la prospettiva.
Ma pioveva ed io ero concentrata a stillare odio per ogni singola goccia che toccava il terreno, l'inferriata del balcone, la tapparella (e che tentava di farsi strada verso il mio parquet, maledetta).
Non leggevo e ho cominciato a piangere sommessamente. Avevo da scrivere, ma mi ha frenato un ricordo del diario di Silvia Plath:"Si soffoca, è umido, piove. Sono tentata di scrivere una poesia. Ma mi viene in mente una frase che ho letto su uno di quegli stampati con cui respingono i manoscritti: Dopo ogni acquazzone, da tutto il paese piovono poesia intitolate: "Pioggia"."
E provavo un vago sentimento di colpa perché dopotutto vergare con furia impietosa i manoscritti dei réfusés sarebbe una della poche responsabilità che mi accollerei, piuttosto che limitarmi ad essere una scialba recidiva.


posted by frammento at 01:13  0 commenti