mercoledì, settembre 01, 2004

Non sono le cose semplici in sé, è l'invocazione, l'esigenza di cose semplici, a commuovermi. Non è avere sempre a portata di mano cose semplici, saper maneggiare e fare della semplicità un esercizio. Non è una modalità, piuttosto una forza, di soverchia gravità. Mi commuove quando diventa una supplica, un anelito, quando si è preda rassegnata e sopraffatta, sfinita. Perché - l'esame sullo zen me lo merito, in spregio al principio di non-retribuzione (almeno per scaramanzia?) - se anche si arriva passo dopo passo a contemplare la voragine ovvero la semplicità, dalla sua cornice, alla fine si deve saltare.

Esattamente due settimane fa, ero a Rouen. Dico, la città di Madame Bovary. Era la minima consolazione, avendo mancato il pellegrinaggio a Lapalisse. A Rouen sono stata Mademoiselle Turquie, almeno per il portiere dell'hotel Sphinx, originario della zona di Istanbul che ricordavamo io con un tracollo di pathos e lui di bile. A dire il vero ho sempre sognato che mi apostrofassero "signorina libertà, signorina fantasia (o live: anarchia)", ma mi accontento. C'est moi.L'amato Julian Barnes comprato in traduzione locale scrive:

"Le moment où l'on soupçonne qu'on lit trop de choses dans une histoire, c'est quand on se sent le plus vulnérable, isolé et peut-être stupide"

E' così. Basta una giornata, basta mezza, basta un nonnulla, che è anche tutto, e sospetto di aver letto troppo nella mia storia. Potrei dire che faccio un passo avanti e due indietro. Magari prima o poi la voragine me la trovo alle spalle. Tuffo carpiato con avvitamento (ho seguito solo i tuffi, alle olimpiadi).


posted by frammento at 08:35  0 commenti