sabato, giugno 05, 2004

È opinione di molti che scrivere sia una flagrante abiezione, un esercizio egocentrico. È mia opinione che spesso non sia altro che una deliberata umiliazione, paziente e meticolosa, nemmeno particolarmente raffinata.

Aspettavo di scrivere come chi ha passato i diciotto anni e non è poeta, non vorrebbe esser cretino, e non ha un futuro da cantante. Ho aspettato di scrivere come avrei aspettato un malanno, avvisando i prodromi e lamentando i segni, le ossa molli e mille margherite scarnificate.
Sublimare l'insublimabile con la scrittura sarebbe molto probabilmente qualcosa di simile alla sublimazione della scrittura stessa, cosa in cui non spero minimamente. Ma su una quarta di copertina la frase "scrive poesia in forma di prosa" mi ha infastidito e ho ricacciato il libro sullo scaffale con la solita stizza, cognita e immotivata. Scrivere poesia in forma di prosa sembra quasi un'esibizione di intimità, di quelle che nascondono una mancanza di intimità, o che la fanno temere.
Allora ho aspettato di scrivere come se fosse uno di quei gesti quotidiani che un giorno risvegliano il delirio abissale o peggio lo sedano, presenziando con un sorriso complice, prêt-à-composer - à decomposer - prefigurando di sfregiarlo di pianto.

Scrivere non potrà mai essere un merito; così come non è un merito e ancor meno una ricompensa (anche se agli occhi di alcuni assume tale valore) essere amati - com'è banale a volte, la disperazione.

Ma io odio il tempo. Che mi è o mi sarà necessario. Mi servirà tutto?

posted by frammento at 09:44  0 commenti