martedì, marzo 09, 2004

Va bene dare poca confidenza a chi ti propone un lieto fine, ma non sapersene godere mai uno è sintomo di miseria, pochezza umana.
E sì che una volta registravo le favole agli amici (che poi confessano di aver perduto le cassette, diversamente da me, che sono una schifosa associazionista e sto ascoltando reliquie).
Ma no, non avrei voluto nessun altro finale, questo è l'unico, preziosissimo e così mi piace: non accettarlo sarebbe tradire l'idea del racconto, anzi, del raccontare, non aver capito niente, trovarsi come il figlio che dice: fammi vedere chi sei veramente. Lo scetticismo è una cancrena.
Per questo mi sento miserrima, perchè ciò nonostante o poiché mi sostengo a racconti, non me lo sono goduta. Il finale, dico, perchè il film era un piccolo prodigio, uno schiudersi di meraviglie. Ero troppo presa dal desiderio di arrendermi per riuscire a farlo, capita quando ciò che si pretende è qualcosa di mai più revocabile - qui colpo di tosse: ehm, scusate, la mia catarsi?
La vera via d'uscita, era in direzione esattamente contraria a quella verso cui migravamo con il popolo spettatore alla fine del film. Sarebbe stata nel voltarsi e dire: ti ho mai raccontato di quella volta che (c'era una volta un re, certo, etc.); oppure, parafrasando letture, mi hai portato dove avevo bisogno di essere, adesso mostrami ti mostrerò tutto il resto.

(Invece ci siamo solo girate simultaneamente complimentandoci per una insperata, dignitosa impassibilità su un epilogo che caldeggiava una fluida commozione)


posted by frammento at 07:57  0 commenti