giovedì, giugno 26, 2003

Bookfetishing

E' mio.
Un corpo anglopakistano


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mercoledì, giugno 25, 2003

Dev'essersi aperto un varco, i giorni passati e questi stessi sono dei mostruosi capricci dimensionali. Il ritmo del tempo presente è corrotto dalla continua riproposizione di una particolare porzione di passato ossia una vacanza in Inghilterra, ages ago.
E ponendomi la questione, fabbricando ipotesi, farfugliando sillogismi, ho dedotto delle deduzioni, anzi dei déjà-deduit. Probabilmente associo:
  • la casa, in balìa degli elementi - due elementi nello specifico, io e mio fratello - ha cambiato aspetto, somigliando sempre di più all’albionica dimora che mi ospitò, per la quale trovo limitativo persino il cuginoloquiale “vuncia”

  • la mia conversazione consta di una selezione di balbuzie e sospiri sempre più variegati ed espressivi, che spazia su graziosi fonemi improvvisati

  • in macchina tendo a tenere la sinistra; all’epoca non guidavo, in compenso la mia padrona di casa parcheggiava con tale affanno che la prima espressione che m’ha insegnato, paonazza per l’iperventilazione, è stata making manoeuvres – “tutto il mondo è francepaese” )

  • mi è apparsa Queen Elizabeth II, e imbracciava un bouquet minatorio (sarà stato pure a salve, in ogni caso io ho imparato a correre)


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venerdì, giugno 20, 2003

Davanti alla porta dell'officina
l'operaio s'arresta di scatto
il bel tempo l'ha tirato per la giacca
e come egli si volta
e osserva il sole
tutto rosso, tutto tondo,
sorridente nel suo cielo di piombo,
strizza l'occhio familiarmente.
Su dimmi, compagno Sole
forse non trovi
che sia piuttosto una coglionata
offrire una simile giornata
a un padrone?

[Jacques Prévert]

Ecco, appunto. Va da sè che insieme a compagno Sole, apostroferei anche frate Vento, frate Focu, sor'Acqua, sora Luna e le stelle - e se potesse fare qualcosa, aggiungerei persino la sora Lella.


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giovedì, giugno 19, 2003

[I commenti a questo post. Bè insomma c'era da aspettarseli, ma.]

Mi ricordano delle domeniche adolescenziali in cui io e mia madre cercavamo di apprendere l'arte del dialogo. Non è mai stata materia per noi, e all'epoca era particolarmente estenuante perché necessaria. Mia madre non mi conosceva per niente, non per disinteresse ma per fiducia, e ha scoperto solo verso i miei tredici anni che potevo piangere. E che di fatto, a volte, piangevo - ma il pianto fino ad allora era una pratica categoricamente privata - per delle insospettabili scalfitture, che si accordavano con ecolalie asfissianti nei miei frequenti tentativi di introimmersione.

 

introimmersione, s., f. tecnica pseudoascetica volta all'esplorazione periscopica di fòssoceanici paesaggi interiori

 


La volta che scoprì il mio pianto rimase quasi sconvolta e ottenuto uno straccio di esternazione piuttosto penosa fra i singhiozzi e il disagio della situazione inconsueta - lo sfogo - cominciò a piangere lei stessa, assorbita da un senso di colpa per la mia sensibilità, che continuavo ad assicurarle immotivato, e non c'era modo di fermarla, non sapevo come consolarla. Ma, dico, ero io che piangevo fino a un attimo prima, era il mio turno, il mio momento! Non vedevo altro su cui contare che questa mia responsabilità verso me stessa, lacerante, ma di cui ero quasi orgogliosa perché testimoniava dei conati d'identità.
E la mia occasione?

// applausi a chi si smaschera


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mercoledì, giugno 18, 2003

MacUbu, non te la prendere, oggi sono in vena di riscritture. Non riesco a decidere se in questo caso si tratti di cambiamento di connotatum o di denotatum, ma:

[Che poi forse nemmeno l'ha capito che m'ha rasserenata. E io stessa manco me ne accorgo lì per lì, faccio finta di niente, continua tutto come prima, ma dentro mi si accende qualcosa e poi ci metto un pezzo prima di mettere insieme le parole e le situazioni e mi rendo conto che sì, davvero se mi sento finalmente meglio è per via di quelle parole lì. E pazienza se è banale. E un po' mi schernisco perché sa leggere, con così poco, dentro di me. La reazione è che mi faccio docile, e chi mi sta di fronte non lo capisce, si chiede cos'ho, che cosa è cambiato. E io non son capace di affrontare l'argomento, o meglio non ne ho la disinvoltura, preferisco ritirarmi nella mia piccola gioia, sentendomi agguantata. So che andrà meglio.
A futura memoria:
1 ti dicono qualcosa che lì per lì non te ne accorgi, ma ti scuote.
2 realizzi che sono proprio quelle parole che ti fanno quieta, silenziosamente partecipe
3 REAGISCI SUBITO, dicendo all'interlocutore che le sue parole ti han fatto sentire così
4 se il soggetto in questione non è più disponibile, cogli la prima occasione per tornare timidamente sull'argomento (senza dimenticare che lui/lei non ricorderà assolutamente l'episodio)
5 dato che non ricorderà l’episodio evita per amor di dio di sentirti idiota/vulnerabile/indifesa. Anche se lo sei, lo sai benissimo
Allora gliene parlo? Hm...
Vabbè, magari la prossima volta, va'.]

Capita raramente, ma capita.
Spero non unicamente perchè significherebbe che mi sono giocata la mia occasione l'altra sera - tanto per dire che non era un pretesto per riscriverti gratuitamente, ma un frammento di vissuto...


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Ad uso di Domsky, la preghiera incorniciata appesa nello studio di Billy Pilgrim, verrà così rivista:


DIO MI CONCEDA
LA SERENITA'
DI ACCETTARE
CHE NULLA POSSO STRINGERE,
IL CORAGGIO
DI VOLER STRINGERE TROPPO
E LA SAGGEZZA
DI COMPRENDERE SEMPRE
L'EQUIVALENZA



UPDATE: la preghiera la lascio, ma sia chiaro che la prossima volta avrò la SAGGEZZA di aspettare e vedere la foto in questione :S
(povera ingenua frammento!)


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lunedì, giugno 16, 2003

"Mi manchi perchè qui ti piacerebbe, è proprio il genere di luogo in cui tu ti sentiresti bene"

Lo ammetto, questa frase mi ha commossa.
Non c'è che dire, la mamma è sempre la mamma, anche in vacanza.

Però, non lo se mi ci sentirei bene, mamma. Ce l'hanno il curry dell'88?




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sabato, giugno 14, 2003

Reality blog
Questa sera ceno da sola, ho la casa per me per qualche giorno. Infatti sto facendo avanti e indietro dalla cucina perchè ho le verdure sul fuoco.
Pregustando qualcosa di speziato mi son messa a frugare fra i vari barattolini, quelli più infognati nella credenza.

Ecco, il curry, perfetto. Le spezie avranno una scadenza? Oh sì, ce l'hanno, oh se ce l'hanno. Infatti: consumarsi preferibilmente entro LUGLIO 1991!?!
E' magnifico. Lo provo. Altro che una madeleine.
E poi mi sembra anche appropriato dato che più tardi vado a vedere "Goodbye Lenin".


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LettUra di Octavio Paz* / lettEra per malacarne

Dicevo, il silenzio e il suo contrario. Armonia di contrari e univoche corrispondenze.
Silenzio è musica e musica non è silenzio
Il silenzio è pesante a dispetto della sua definizione di incorporeità, di assenza, di inconsistenza, di leggerezza.
Il silenzio è presenza carica, invadente, sottile. Il silenzio è musica. Musica rumorosa e ineluttabile, quella dei pensieri, quella dei significati portati, indotti. Musica che nasce costretta e poi si svolge spontanea. Musica di strumenti abusati e misconosciuti.
Silenzio è armistizio. Non è illusione di parola, forse parola mancata. Sfumatura di parola, approssimazione di mille sillabe Silenzio è possesso, perchè il silenzio è mio. Sono io che lo musico. E' la mia partitura.

La parola fa da caleidoscopio. La conoscenza non scaturisce dalla rapacità, una conoscenza di tal fatta sarebbe piuttosto “predazione”. Eppure il desiderio di conoscere è rapace!
Pare che l’uomo per capire abbia bisogno di classificare. Un resoconto sì, è classificabile, un resoconto non si ama: è. La parola è solo accessoria.
In un racconto la parola non è solo strumento, non dice solo un contenuto, dice anche se stessa e in sé si fa carne che diventa mondo. Anche “come viene viene”.
Il desiderio di capire di solito è un istinto naturale per l’innamorato di tutto: è qualcosa di assoluto e sublime ma non è abbastanza. Un desiderio bruciante per ciò che si ama spesso è un’autocombustione.

Dal silenzio, un sussulto di desiderio è la vibrazione che disegna il mondo.
Musica non è silenzio: non è dire ciò che dice il silenzio, è dire ciò che non dice.
Musica è complemento di silenzio, o ne è attributo; non è parola, ma è linguaggio. Musica è aria che vibra, è alterità. Musica è risvolto, cavità gualcita del silenzio. Musica ha tempo e spazio; ha logica e ordine che il silenzio sovverte e assoggetta ai suoi propri volubili caotici codici.
Musica è eco di molteplicità che liquidamente dalla propria ombra si discostano. E’ onda di silenzio, perché ne plasma il prolungamento, si insinua e consuma il suo effetto dopo che gli strumenti sono stati posati.

* "Lettura di John Cage"

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mercoledì, giugno 11, 2003

Vogliamo vogliamo smetterla di pasteggiare a gazpacho corretto per favorire l'apparizione di avi annunzianti numeri del Lotto?
Ovvero, colazione paradigmatica:
Padre che racconta a Madre di aver sognato Figlia (io) incinta premurandosi che questa non sia nei paraggi per non doverla poi ricordare così, visione d'urlo munchiano.
Madre che ride di gusto e sciorina casi onirici, "mi avevano rubato la Porsche sotto casa, che poi non era una porsche, ma un ibrido Mercedes-Bmw che m'avevano venduto (chi? chi?? compreresti una macchina porsche da quale uomo?) a ** milioni".
La verità-tutta-la-verità è che sotto casa come altrove abbiamo parcheggiato - male - praticamente solo delle FIAT, forzate e poi snobbate con sistematicità rituale, tanto da far pensare che siano state scelte come strumento di formazione per Puntosaccheggiatori

Così, temendo strascichi genetici, faccio voto di non lamentarmi per gli incontri mostruosi della notte sognata, incoraggiati dalla lettura narcollante

 

narcollare, v. intr., ciondolare metronomicamente fra trasporto e insofferenza nell'attesa del fisiologico capitolare fra le braccia di Morfeo*

 


di storie di spiriti, impugnate per ispirare un riposo poi ovviamente non conciliato.

Ad ogni modo non valuterò nemmeno l'opportunità di reperire di un Acchiappasogni, sappiatelo.

* fatica probabilmente dimezzata se si fosse trattato di Neo, nevvero?

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venerdì, giugno 06, 2003

Patologie libresche/1

T'amo, pio Bovarysmo. Superato ormai da anni il tabù del libro da leggere integralmente prima di passare al successivo, ormai mi divido abitualmente fra vari volumi, destreggiandomi fra saggi, novelle, manuali con una tale serenità che non faccio alcun torto alla mia idea di lettura. Capita che per qualche motivo io rimanga temporaneamente a corto di romanzi* nel cui mondo ritirarmi per la mia quotidiana abdicazione da questo. Ed è a quel punto che incontro, ineluttabile e cùpido, il mal de livre.

 

mal de livre, espr. lett., particolare tipo di dolenza causato dalla mancanza di efficaci succedanei cartacei della fuga sintomatologicamente simile, dipendentemente dal soggetto, a un'atra malinconia o alla claustrofobia

 


* eppure non sono onnilettrice


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...comunque è immonda, una intera giornata in attesa dell'addio. perchè lo sai che è un addio, è solo formale dire il contrario (sì che sei come *noi*)

;)


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giovedì, giugno 05, 2003

Ieri ultimo giorno di corso. Per non essere sopraffatti da transfert latitudinale da aula torrida (munirsi di machete per farsi strada fra mangrovie e palmizi, appoggiarsi al banco con le braccia sudate e ivi, ad ogni accenno di movimento, sguisciare, sognando una zanzariera e un grog) l'unico rimedio disponibile era spalancare la finestra sull'esuberanza acustica urbana.
Essendo una lezione di riepilogo è stata serenamente boicottata dai più. Eravamo solo sette e l'insegnante ha deciso di farci sedere in circolo così da essere abbastanza vicini da non dover urlare - urlare in giapponese ha quel tanto di marziale che avrebbe guastato l'arrischiata atmosfera di familiarità. Così ci siamo ritrovati seduti come ad una riunione di AA (credo stia per "Anacolutisti Anastrofici", visti i ribaltamenti concettuali cui costringe la suddetta lingua), a conversare su una scheda personale prontamente compilata.
Saranno stati il grog, l'immedesimazione con la situation AA (credo stia per "Assertori Afasici" - visti i risultati claudicanti) o l'essere in cerchio reattivi come dei monoliti, ma quando sono arrivata all'ultima riga da compilare, bianca del bianco "scrivete quello che volete", volevo dire una verità. Niente di trascendente (pur nel mio stato monolitico), solo costruire una frase corretta, misurata, regolare, che soddisfacesse la mia urgenza di esternazione sono stanca, mi opprime il turbamento, la distrazione che àncora a terra a un pantano di incompletezze, una mistione di iperboli mutile, volevo chiarire che parlavo di me, proprio di me, io.
E poi ho esibito una frase irritantemente asettica. Non riuscivo a trovare niente di corretto.


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martedì, giugno 03, 2003

Questa, di Octavio Paz, m'è sempre piaciuta:

Tra adesso e adesso,
tra io sono e tu sei,
la parola ponte.

Entri in te stessa
quando entri in lei:
il mondo si chiude
come un anello.

Da una sponda all'altra
sempre si stende un corpo,
un arcobaleno.

Sotto i suoi archi dormirò


Oggi non ho molte energie per speculare (direi - propriamente - pontificare). Mi vedo più in un vagare rabdomantico in cerca dell'arco sotto cui vegliare, aspettare il momento propizio per scalare la china policromatica e incappare, al lembo estremo, nello scrigno delle parole giuste.



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