venerdì, dicembre 26, 2003

La rêverie, il sogno dei desti, è prevalentemente il vagheggiamento di un desiderio incompiuto. Più o meno ostinato, più o meno congenito e soprattutto più o meno iperglicemico, è un filato da dipanare ancora. E per il gusto che si prova nella cura dell'impianto scenico, nell'esasperazione del particolare (fondamentale, il dialogo), nella scartavetratura delle problematiche irritanti e inutili della verosimiglianza. La rêverie è il sipario che si vorrebbe aprire sul proprio futuro.

Il sogno dei dormienti ha un meccanismo narrativo diverso; è una visione scevra di progettualità, di prospettive ragionate o da ragionare, non ha il modo della posticipazione: tutto è vissuto, valga verbo o sostantivo: come il pulsare della propria esperienza tutta o come ciò che si svolge al presente, il presente intimo, del tutto soggettivo.

L'altra notte ho sognato di essere passeggera senza biglietto. Non che fosse la prima volta. E non che non mi si mai capitato nella realtà (come dimenticare ore di nulla in Ribatejo, dopo l'espulsione da un comodissimo intercity - che data anche la prossimità di Fatima assunse le dimensioni di una cacciata dal paradiso terrestre). Ma erano talmente toccanti l'ingenuità e la disperazione con cui accoglievo l'arrivo del controllore, che evidentemente riuscivo a impietosirlo (magari tanta generosità derivava dal vedermi indossare il suo stesso cappello), e a impietosire anche me stessa, perchè in modo per me del tutto inusuale non mi colpevolizzavo per la mia ignoranza delle regole del viaggio, ero solo costernata.

Mi sono venuti in mente i Portraits di Sugimoto Hiroshi visti a Londra. Le statue di cera immortalate in bianco e nero su sfondo scuro, ritratti di personaggi storici o famosi come conosciuti dalla ritrattistica tradizionale o dai tabloid.
La fotografia come specchio di un'anima di cera. Potrebbe anche essere la definizione del mio sognare.

posted by frammento at 10:56  0 commenti