venerdì, novembre 07, 2003

Un grafico una webdesigner che studia giapponese, cosa può volere di più (dalla Triennale) di una mostra su Otto Neurath e Isotype?
Può volere, può volere (omettendo quanto esula, cioè piùomenotutto) - qualche pannello in più, il biglietto ridotto, un catalogo a un prezzo proporzionatamente decente e magari un omaggio all'uscita che non sia il questionario da compilare. No, pardon! strascrivevo solo perchè l'argomento era interessante e mi dispiaceva che la mostra non fosse più ampia: per una webdesigner una realizzatrice di siti l'idea di una comunicazione visiva accessibile e metalinguistica è sicuramente accattivante, se addirittura non è una premessa necessaria*.
Ma ciò che m'ha fatto piacere notare era piuttosto la possibile assimilazione di Isotype a una scrittura ideografica.

Anni fa seguivo in rispettoso silenzio un newsgroup di linguistica e mi ricordo dispute a cadenza periodica (sorprendentemente regolare) su quale sistema di scrittura fosse migliore o più sensato o più anacronistico fra quello fonetico-alfabetico o quello ideografico.
Non ho sicuramente le competenze per esprimere un punto di vista di qualche valore e non lo esprimerò. D'altra parte non mi interessa decidere quale sistema sia più logico: li trovo logici entrambi, entrambi sofisticati, entrambi imperfetti - incompleti, incompiuti e non può essere altrimenti, perchè la comunicazione non è fatta di espressioni solamente verbali.
I primi ideogrammi (cinesi), quelli incisi sui gusci di tartaruga come divinazioni, erano pittogrammi, ritratti di "cose": segni che facevano coincidere forma e sostanza. Ma l'evoluzione sociale e quindi linguistica non avviene in una realtà descrivibile solo per pittogrammi e la raffinatezza del pensiero ha concertato storicamente diversi tipi di ideografie - e per chi non ha passato anni e anni di marziale scuola dell'obbligo a ripetere quei movimenti che tracciano significati sarebbe difficile, troppo difficile impararli sperando solo nell'ausilio della memoria.
La passione per il Giappone mi ha portato alla passione per la lingua che lo esprime, ma avrebbe potuto benissimo avvenire il contrario; amare il popolo per via di questa scrittura che tanto deve (no, dà!) al disegno, nata come comunicazione immediata concreta e trasformatasi in un sistema tanto complesso da risultare talvolta fin troppo astratto, ragionato, che spesso fa sentire disorientati come davanti a un enigma; e forse è proprio l'aria di sfida, che cattura.
Ma questo non c'entra, quel che volevo dire è che c'è qualcosa d'altro che rende questa scrittura incomparabile ed è la ricchezza che deriva dal fatto che il vocabolo non è solo un suono convenzionale, ma è accompagnato (a seconda dell'origine, a volte bizzarra) dalla riproduzione grafica di oggetti associati per creare concetti: una avvolgente esuberanza di informazioni che fa pensare di camminare in una foresta di simboli.

Si potrebbe pensare, dopo questa apologia, che io mi esprima in caratteri mirabili. Niente di più falso: la mia scarsa attitudine all'applicazione costante mi fa vergare solo dei pietosi idiogrammi.

 

idiogramma, s. m., carattere grafico prodotto con meticolosa deficienza (d'esattezza?) da persona in evidente difficoltà cerebrale geneticamente certificata

 


* certo che l'interpretazione dei segni non dev'essere sempre priva di ambiguità. In Bulgaria fuori da un supermercato 24h/24 che recava un cartello a cui davo la lettura inequivocabile di "vietato entrare armati", un tizio si preparava alla spesa infilandosi nervosamente una pistola fra i pantaloni e la pancia. Da brivido. Dico, il contatto del metallo sulla pelle nuda. E anche tutto quel lavoro sprecato sull'inequivocabilità dei segni.
(Anche il lettore di segni sarà anarchico?)

posted by frammento at 08:56  0 commenti