mercoledì, novembre 05, 2003
Intervista a un artista di merda.
Leggo su
Carnet l'articolo di Alessandro Riva su Wim Delvoye, artista belga che espone al Museo Pecci di Prato l'opera "Cloaca turbo", un impianto che mostra - in 16 metri di automatismi - l'intero processo digestivo, con tanto di prodotto finale:
"Così ho pensato che il cibo, la digestione e quindi la merda, sono quello che in fondo ci accomuna tutti, i ricchi come i poveri, le donne come gli uomini. La cacca è universale, multiculturale e cosmopolita".
E come dargli torto? Può essere un discorso condivisibile. Almeno, sicuramente è
organico.
Più indietro e più avanti si fanno i nomi di Picasso, Duchamp, e ovviamente, Manzoni, ma questa frase mi sembra un concentrato soddisfacente per un ego di dimensioni considerevoli:
"Cloaca è un'opera impressionante, diabolica nella sua assoluta perfezione, un vero e proprio organismo vivente [...] è come guardare la Cappella Sistina, come trovarsi davanti a un David contemporaneo, cibernetico, fatto di chimica e computer".
In realtà, non ho nessuna intenzione di soffermarmi sulla qualità del prodotto artistico (e soprattutto del
prodotto tout-court). Cito l'intervista solo per ribadire ancora una volta come l'essenziale non sia nella risposta, ma nella domanda. E l'essenziale, Riva dixit, in questo caso è:
"Lei si rispecchia dunque in "Cloaca"? Si può dire, parafrasando Flaubert,
Cloaca c'est moi?"
posted by frammento at
02:25
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