martedì, ottobre 07, 2003

Ho visto il nuovo libro di Marías, mi sono ripromessa di imparare ad aspettare. Ho pensato non devo sfogliarlo, ho già in mano due libri, giro come una bestia famelica intorno al tavolo, con passi lenti trascinati solco un perimetro di predazione con ossessività selvatica, accarezzando ostentatamente titoli che disprezzo, passando l'indice sulle loro lettere in rilievo; ma assaporo quel tratto inconfondibile, la forma del tempo dilatata esangue, l'istante che non si arresta sulla soglia, che non si compie a un margine - il punto, l'estremo della frase che sancisce e dispensa o attende conseguenze. La frase che inchioda, la frase che imbocca. Non devo sfogliarlo,

[...] chi parlava parlava come se non vi fosse futuro al di là di quella notte o di quel giorno e la sua lingua sciolta dovesse morire con loro, ignorando che c'è sempre altro che deve venire, rimane sempre, un po' di più, un minuto, la lancia, un secondo, la febbre e un altro secondo, il sonno - la lancia, la febbre, il mio dolore e la parola, il sonno -, e anche l'interminabile tempo che neppure esita né rallenta il passo dopo il nostro compimento

[...] Tacere, tacere è la grande aspirazione che nessuno compie nemmeno dopo morto [...]
No, io non dovrei raccontare né ascoltare niente, perchè non sarà mai nelle mie capacità evitare che si ripeta o si aggravi contro di me, per perdermi, o ancora peggio, che si ripeta o si aggravi contro coloro che io amo, per condannarli


da: Javier Marías, Il tuo volto domani


posted by frammento at 07:28  0 commenti