martedì, settembre 16, 2003


Milagro
Sembra impossibile reperire sigarette straniere in alcune città bulgare, ed è difficile persino nella capitale. Non essendo necessariamente monomarca ed essendo più propensa ad aspirare (ai) vizi locali (di conseguenza anche a farmi del male, se consideriamo le Victory) assecondo pigramente a. nell'orlandesca ricerca delle sue MarlboroLight. Ed è attraverso questa ricerca, vana finché effettuata nei normali tabacchini in cui si inciampa ad ogni vicolo, che giungiamo all'Illuminazione. La T luminosa, intendo, che in Bulgaria è invece (pregevole sineddoche) un'insegna deserticamente bianca al cui centro camelleggia il noto dromedario; nel cortile a cui esso invita, una immancabilmente abulica e forfetaria venditrice consegna l'oggetto dell'astinenza inabissandosi in uno scantinato dai muri glabri. Tutto, tenendo conto dell'immersione e del senno recuperato di a., a un prezzo comunque irrisorio.

Chissà cosa m'aspettavo di trovare in questa città, chissà quali vestigia. Scostandosi dalla convulsione di certe arterie ci si ritrova in enormi piazze contornate da sedi amministrative e museali. Ad attraversarle, il cuore di Sofia sembra senza ombre. Più che una lirica osservazione è la constatazione di un lieve malessere provocato dell'avvicendamento di senso d'oppressione causato dall'imponenza istituzionale (pur comune) e di panico agorafobico dato dall'imponenza spaziale a cui essa fa da contorno.
Ho idea che a molte di queste sedi siano state asportate escrescenze marmoree di Partito, ma che abbiano acquisito in compenso appendici balzane: costeggiando la vecchia sede dei Soviet, nella cornice del suo porticato l'orizzonte è un tendone con la virgola più globale, scolorita da un sole pallido - e ormai avvenuto just do(ne) it.
Due americani che ci chiedono la foto ricordo davanti a uno dei pochi monumenti comunisti rimasti intatti ingaggiando un incontro di Wrestling per chi deve alzare il pugno e chi fare il gesto delle corna. Mentre a. li guarda bisticciare dentro l'obiettivo mugugnando, io arbitro l'incontro. Intorno a noi, dei ragazzini poco esperti fanno evoluzioni sullo skateboard e incastrando i pantaloni a cavallo basso nelle ruotine, scandiscono i round.

A Sofia c'è la piccola accogliente chiesa ortodossa dall'aspetto moscovita famosa per i miracoli.
So di comportarmi come i turisti in Galleria e ancor più come quelli ad Aya Sofya, per non dire di quelli alla fortezza di Veliko Tarnovo, ma non resisto…. E questa volta chiedo proprio un'intercessione, pur sapendo che la mia nota miscredenza non mi rende una plausibile miracolanda.


Fra Sofia e Veliko delle montagne fresche e rigogliose appuntate di stazioni scalcinate. Nessun panorama mozzafiato, nessun sublime kantiano, ma una placida bellezza appacificatrice.

Alla fortezza di Veliko Tarnovo troviamo un pozzo, io mi avvicino a dei ragazzini di non so quale nazionalità, uno butta un sassolino e ci zittiamo rapiti dall'attesa del tonfo, che presto arriva alle nostre orecchie tese.
So di comportarmi come i turisti in Galleria e ancor più come quelli ad Aya Sofya, ma non resisto e butto dentro anch'io un sassolino (un masso) per esprimere il mio desiderio strizzando gli occhi. Nessun tonfo, nemmeno leggero. I ragazzini si allontanano imbarazzati e mi lasciano lì a gridare che il destino è quel che è, non c'è scampo più per me, anche se sarebbe più una sceneggiatura transilvana junior in un comico b/n.

La signora a cui bussiamo per la notte assomiglia straordinariamente a mia zia (se non fosse per i capelli magenta), è altrettando premurosa e ci guida a suono di pleeeeease con la mano a spazzare graziosamente l'aria per invitarci a seguirla. Inforca gli occhiali e mordicchia la penna mentre sillaba la nostra nazionalità per svegliare il marito spento davanti alla tv. Questi, spalmato letteralmente sul divano, cerca di riprendere una forma per bombardarci: "Italia beaucoup turistìk, Venetsia, Padua, Veronj, Florentsa. Italianos zumpatisch. Ah Italia mucho turistìk", schioccandosi un bacio sulla punta delle dita annuisce con un sorriso reverenziale che ci accompagnerà per tutto il soggiorno come una benedizione e che ci farà ottenere l'unico viaggio con tassametro mai esperito su un taxi (1 euro per circa 25 kilometri!) turco-bulgaro-romeno.


Don't worry, be hippy
L'entrata in Romania, per quanto diluita come uno scivolamento, è molto più tranquilla, a tratti perfino dolce, della sgradevole esperienza al confine turco-bulgaro.

Sarà anche per la circostanza non trascurabile di dividere lo scompartimento con un signore di nazionalità italiana residente a Bucarest.
Nel viaggio di quattro ore per coprire un centinaio scarso di chilometri quest'uomo abbondante e cordiale è un eccezionale calmante, pur sprecandosi in ansiogene raccomandazioni di accortezza. Richiama la mia attenzione sulle costruzioni zingare all'orizzonte, sulle strade appena visibili ai bordi remoti dei campi, con gentilezza mi distoglie da certi sfondi romeni fatti di carretti di legno e colori gonfi di luce, alla cui bucolicità è fin troppo facile cedere.

Poi, Martha. Una donna americana così serena, così sorridente, così entusiasta, in fin dei conti forse, così prevedibile. Mi faceva pensare che aggettivasse spesso in lovely, prima di aprire bocca, e dopo forse lo ha fatto.
Nella timida conversazione che ci siamo concesse (timida per colpa mia) mi dice d'essere in viaggio da sola da più di tre mesi fra Turchia e Bulgaria, e che adesso continuerà fino al Baltico. A parte l'aspetto hippy, le palpebre mezzo abbassate (le mie sono wide shut) e il largo sorriso potrebbe assomigliare a quacosa che vorrei fare. Essere, fare. Dico fare perché sono innegabilmente diversa, perché potrei essere altrettanto fiduciosa e avrei un altrettanto largo sorriso verso la gente, ma non ne ho verso la mia umoralità. E dove vorrei ridere mi sento tremendamente fragile e dove vorrei essere rassicurata, mi sento in colpa per aver dato modo ad altri di non rassicurarsi.


Più tardi le chiedo se ha stabilito quando avrà termine il suo viaggio e cosa ci sarà dopo. Mi interesso delle sicurezze che gli altri riescono ad avere o di quelle di cui possono (o dicono di) fare a meno e che io non posso; raccolgo dati per eventuali emulazioni. A dire il vero, la sua vita giorno per giorno mi sembra paradossalmente avere più certezze della mia. Un lavoro molto remunerativo ma trimestrale e poi intere stagioni di viaggio. L'avevo ipotizzato - l'alternativa sarebbe stata essere schifosamente o favolosamente ricca e non volevo farle il torto di credere questo, ne avrebbe diminuito lo charme - resta da capire quale sia il lavoro dei miei sogni e lei fa del suo meglio per accontentarmi. Ma no, è proprio un lavoro che non posso sognare, perché è pescatrice, anzi "pesscatorra", nei mari d'Alaska: mi mostra gentilmente fotografie di paesaggi glaciali, comprensive però di halicut appena pescati, ancora sanguinanti, cangianti e roridi nella luce boreale e poco ci manca che le rimetta sulle scarpe (non stivali) da pescatrice tutta la mia invidia. Sì insomma, sembra avere più certezze di me che ho una vita molto più stanziale e meno eccentrica, se non si tiene conto dell'eccentricità del mio rapporto con essa. Le ho espresso le mie rimostranze per la Rough Guide della Romania, proprio non m'è piaciuta, riportava numeri di telefono inesistenti e pessime cartine, ma ho visto che lei ha una Lonely Planet, e ne canto le lodi. E lei - certo, come ho fatto a non pensarci, mi do una immaginaria pacca sulla fronte svampita, mi comunica con una bonaria alzata di spalle che gliel'hanno regalata solo tre giorni fa. Era tutta prevedibile
questa anticonvenzionalità, questo anti-bisogno, ma io mi chiedo comunque, convenzionalmente, se sia felice. Chissà se si ferma anche lei a tirare monetine nei pozzi ed esprime desideri impossibili, sempre gli stessi da
quando è bambina. Chissà se le piacerebbe il libro di Merleau-Ponty che penso per lei, Orfeo musicante magico sui ghiacci artici.

posted by frammento at 04:11  0 commenti