lunedì, settembre 15, 2003

Ieri a quest'ora stavo correndo per i corridoi della London Underground dopo una soleggiata mattinata a Portobello Road. Da non crederci! Da non credere che fossi là, non tanto che stessi correndo in metropolitana. E' un rito che amo onorare ogni volta che parto, questo del rush finale con crollo à la Philippide davanti allo sportello di un bigliettaio che mi comunica costernato che in realtà, per lavori di ristrutturazione, i treni partono in corrispondenza di tutt'altra fermata (mi pareva infatti di non aver tagliato nessun nastro e soprattutto di non aver ricevuto nessun sacchetto-premio con gli omaggi).
Avrei da scrivere su Londra, ma mi ritrovo ancora a rincorrere alcuni pensieri e stralci di resoconto del mio viaggio a Est: l'aver vissuto e scritto, quindi aver doppiamente vissuto quasi contemporaneamente i due estremi dell'Europa porta con sé una certa confusione.
Confusione che probabilmente ho metabolizzato sabato davanti in mezzo all'installazione 20:50 di Richard Wilson alla Saatchi Gallery. La contiene, è proprio il caso di dirlo, una stanza in cui si viene introdotti individualmente da un addetto provvisto di foglietto scaricaresponsabilità in cui si avvisa di non toccare, né far sfiorare i propri abiti da alcunché per la propria sicurezza. Entri piuttosto contrariato, chiedendoti cosa ci sarà da non sfiorare, tanto più che avanzi sul ponticello e ti sembra una semplice stanza, mentre fuori stanno esplodendo i più bei fuochi d'artificio che il Tamigi abbia mai visto. Ma poi una minuscola bolla dove non dovrebbe essere e l'odore che pervade l'ambiente ti rendono più vigile: il soffitto e il pavimento sono completamente simmetrici, e quello che scopri essere il riflesso non è né uno specchio, né acqua. E' un mare di petrolio.
Esplodere in esclamazioni di sorpresa in un luogo del genere (ti auguri che i più bei fuochi che il Tamigi abbia mai visto siano dall'altro lato della Galleria) è rischioso, ma sono frastornata dall'avanzare attraverso un paradosso: è appena controllabile l'istinto di toccare quella densità oleosa di illusione e deturpare sulla sua superficie quella simmetria perfettamente assurda, di raccogliere l'invocazione di quella perfetta spirale di stordimento* per turbare la bellezza di uno scarto di eco. D'altra parte, l'idea di queste installazioni non è proprio che vengano agite?

* (e forse Wilson aveva calcolato anche l'effetto dell'inalazione di idrocarburi)

posted by frammento at 11:13  0 commenti