martedì, luglio 22, 2003

Il tempo, è quello che ci manca. Martin Eden, il personaggio di Jack London di cui sono stata follemente innamorata per tanti anni, si autodisciplinava per dormire non più di 5 ore per notte, perchè troppe erano le cose da leggere, da scrivere. A me non è concesso di dormire molto di più, ma temo che in un'era di progressi scientifici e lessicali questa abitudine sia da ascrivere ad una patologia del sonno e alla sveglia aurorale fraterna più che ad una ferrea risolutezza.
Dicono di noi milanesi che abbiamo l'ossessione del tempo. Per quel che mi riguarda è pura verità. E' un despota che esercita il suo arbitrio nell'incostanza dell'incedere, a causa della cui volubilità ci disperdiamo: perchè il tempo su cui non abbiamo arbitrio è il regno delle potenzialità.
La progressione lineare del tempo non ammette una misurazione esatta della propria esistenza; il quotidiano, colmo di elementari quantificazioni, non è esente da diversioni e scostamenti e sbalzi: anzi, sono esattamente questi a tutelarne lo svolgimento. Sono queste eccedenze, questi avanzi, questi ricircoli periodici privi di sequenzialità, che applicano al tempo una divina sospensione: quella che si emana dall'esasperazione della ripetitività e che nella ripetitività ha il suo antecedente naturale. L'unica garanzia perchè il nostro tempo individuale progredisca, parafrasando Mircea Eliade, è che riusciamo a ricavare al suo interno periodici anelli di tempo alternativo: un tempo sacro, che mima il tempo originario.
Questa avulsione dalla storicità, questo tempo di squisita potenzialità, è la mia furiosa sospensione: è quando leggo e quando scrivo, per esempio.
Pirandello diceva "quando scrivo io mi scompongo". Vero, vero. Io aggiungerei anche "quando leggo". Potrei dire "quando scrivo/leggo io mi deframmento", con un gesto nervoso spazzo via i tasselli accumulati e osservo la dedalica composizione (è irrilevante non scrivere come Pirandello, o in generale non scrivere bene: si tratta di scrivere, tanto basta); mi scompongo in frammenti: e uno è quello del tempo storico, mille altri sono quelli che fuggono categorie e quantificazioni, sono i potenziali tasselli, storicamente negati.
A volte sono come anelli di fumo* che si dissolvono nell'aria avvolgendo un'immaginaria linea di pensieri.

Un tassello/
Lafcadio Hearn curò stupende raccolte di leggende e storie popolari giapponesi e in una di queste ho trovato il racconto di cui trascrivo un estratto.
E' intitolato - guarda caso - Frammento

"Non hai ancora capito su cosa stiamo camminando. E' una montagna fatta di teschi" ribattè il bodhisattva, " ma sappi figliolo, che tutti costoro non sono altri che te stesso! ognuno di questi teschi è stato in un dato momento la culla dei tuoi sogni, delle tue delusioni, dei tuoi desideri. Neppure uno di questi teschi appartiene ad altro essere umano se non a te. Tutti, tutti senza eccezione sono appartenuti a te nelle miriadi di vite precedenti"

*che in undici anni di tabagismo non mi hanno mai fatto onore, perchè ci vuole disinvoltura se non una certa femmefatalité.

posted by frammento at 07:32  0 commenti