lunedì, luglio 07, 2003

Ho appena terminato il delizioso Vita di Pi, di Yann Martel: a tratti rivoltante, specialmente per chi è vegetariano come la sottoscritta - ho dovuto scorrere qualche paragrafo frettolosamente per non soccombere a un conato ininterrotto - eppure delizioso. Fresco pur narrando di sete inestinguibile, arsura e deriva nell'immensità, in tre delle sue misure: l'immensità di solitudine e sale dei flutti oceanici, l'immensità dell'elevazione spirituale, il congiungimento nella religione di creatore e creato e l'immensità dell'abiezione a cui il desiderio di sopravvivenza induce.
Tre misure per la stessa incommensurabilità.

[...] Le persone emigrano perchè logorate dall'angoscia. Consapevoli che i loro sforzi non serviranno a nulla, che quello che riusciranno a costruire in un anno verrà distrutto da qualcun altro in un solo giorno. Convinte che il futuro sia ipotecato, che con un po' di fortuna forse loro potranno farcela, ma non i loro figli. Intimamente certe che a casa nulla cambierà, che possono essere felici solo altrove [...]

Pensavo a questa frase, appena letta sul libro di Martel, l'altra sera mentre un signore bengalese ci porgeva la nostra cena fumante e speziata nell'alluminio da asporto e io indugiavo sulle immagini induiste e le foto di Gandhi.
Poi una coppia di ragazzi è uscita dal locale insieme a noi, e lui ha detto: "F*g*! mi sorridono, mi stringono la mano, mi aprono la porta... non sono mica abituato, mi hanno quasi fatto sentire un essere umano, porco ***"
Ho smesso di ridere solo a casa perchè mi stavo strozzando di chapati.

posted by frammento at 04:25  0 commenti