giovedì, giugno 19, 2003

[I commenti a questo post. Bè insomma c'era da aspettarseli, ma.]

Mi ricordano delle domeniche adolescenziali in cui io e mia madre cercavamo di apprendere l'arte del dialogo. Non è mai stata materia per noi, e all'epoca era particolarmente estenuante perché necessaria. Mia madre non mi conosceva per niente, non per disinteresse ma per fiducia, e ha scoperto solo verso i miei tredici anni che potevo piangere. E che di fatto, a volte, piangevo - ma il pianto fino ad allora era una pratica categoricamente privata - per delle insospettabili scalfitture, che si accordavano con ecolalie asfissianti nei miei frequenti tentativi di introimmersione.

 

introimmersione, s., f. tecnica pseudoascetica volta all'esplorazione periscopica di fòssoceanici paesaggi interiori

 


La volta che scoprì il mio pianto rimase quasi sconvolta e ottenuto uno straccio di esternazione piuttosto penosa fra i singhiozzi e il disagio della situazione inconsueta - lo sfogo - cominciò a piangere lei stessa, assorbita da un senso di colpa per la mia sensibilità, che continuavo ad assicurarle immotivato, e non c'era modo di fermarla, non sapevo come consolarla. Ma, dico, ero io che piangevo fino a un attimo prima, era il mio turno, il mio momento! Non vedevo altro su cui contare che questa mia responsabilità verso me stessa, lacerante, ma di cui ero quasi orgogliosa perché testimoniava dei conati d'identità.
E la mia occasione?

// applausi a chi si smaschera


posted by frammento at 05:51  0 commenti