venerdì, aprile 04, 2003

Sono atea tendente mistica. E bovaryste.

Continuo a leggere su Internazionale l'oroscopo di Brezsny, è l'unico vizio astrologico a cui non so rinunciare. Qualche tempo fa l'argomento era "la domanda a cui vorremmo aver risposta prima di morire a 100 anni"; nello specifico, per il mio segno, quale fosse il luogo da considerare veramente "casa".

Tout y parlerait
à l'âme en secret
sa douce langue natale


E' effettivamente una delle domande che mi assillano: sono sempre stata tiranneggiata da uno spaesamento radicale, per niente accidentale, imperituro, un desiderio (il tentativo no, c'è il copirait) di fuga tenace insopprimibile, tanto più bastardo in quanto considerato solitamente non legittimo.

Spesso penso che l'unico luogo sacro sia la memoria.
In un frammento (bè) di "Autostop per l'Himalaya" Vikram Seth annotava qualcosa tipo a volte mi chiedevo se viaggiavo per alimentare future nostalgie (sintesi blasfema, ma meglio che una storpiatura di fantasia), riferendosi al fatto che dopo aver tanto cercato il viaggio, ora sull'Himalaya lo commuoveva il pensiero della sua terra d'adozione mentre in altri momenti, lontano da Calcutta, sbocconcellava dolcetti bengalesi languendo di malinconia.
E' un concetto che raccoglie la folla di disinganni a cui mi sono votata attribuendo doti salvifiche ad alcune mete che una volta guadagnate smascheravano puntualmente le mie ingenue figurazioni. Eppure anche i luoghi al momento malsopportati, disattendenti, hanno poi acquisito un valore incorruttibile, hanno redento il passato preservandone la caotica incoerenza (che letta al passato, acquista valore - distanzia l'esperienza monocorde).
Con "casa" si intende il posto in cui ci si sente bene, si sente che si può essere salvati non si sa da cosa, perchè alle volte se ne intuisce semplicemente la necessità, senza aver piena coscienza. Non è la propria casa in senso stretto: c'è stato un tempo in cui mi trovavo spesso a piangere esistenzialmente disperata sopra il lavandino cercando di lavarmi la faccia (è un patetico palliativo del cambio di connotati), mormorando meccanicamente 'voglio andare a casa', fino allo sfinimento, fino a rendermi conto, come un'epifania, che a casa tecnicamente c'ero già e di conseguenza collassare.

Là, tout n'est qu'ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté


Alcuni posti in cui mi sono sentita a casa/1

  • la scogliera di Mulinetti, vicino Recco

  • la cattedrale di Poitiers, in una vacanza-studio da incubo

  • il pont des arts, Parigi, una sera d'agosto, accoccolata a terra ad ascoltare suonatori inventati

  • coimbra, il fado in piazza/mercado da ribeira, lisbona

  • micene, tutti i secoli

  • l'affollata station-wagon di un amico,seduta sul seggiolino del figlio, un'alba in ottobre in un porto industriale

  • venezia, persa fra le calli meno conosciute, fra panni stesi e lenzuola a rinfrescare

  • una barca di notte, acqua, buio, stupore (e tremori)

  • gorizia, una casa "crepuscolare"

  • sulla statale per lucca, il cielo plumbeo e Rimmel nell’autoradio





La nuova vita della signora Brown

Un giorno lessi un libro e la mia vita cambiò. [...] Sedevo al tavolo e un angolo della mia mente ne era conscio, sfogliavo le pagine e mentre tutta la mia vita cambiava leggevo nuove parole e nuove pagine.
Dopo un po' mi sentii talmente impreparato e indifeso di fronte alle cose che mi sarebbero capitate che, istintivamente, allontanai per un attimo il viso dalle pagine come a volermi proteggere dalla forza che emanavano. E allora, spaventato, mi resi conto che il mondo che mi circondava era completamente cambiato e provai una sensazione di solitudine mai sperimentato prima.
Era come se fossi rimasto completamente solo in un paese di cui ignoravo la lingua, le usanze e la geografia. [...]


Ho visto il film “The Hours” un paio di settimane fa: non voglio darne un commento critico (non potrei), dico solo che mi è piaciuto, anche se non quanto m’aspettavo.
Adesso ho finito di leggere il libro di Cunningham: è vero, probabilmente non aggiunge molto a “Mrs Dalloway”; ne è semmai un’emanazione, ma un’emanazione commossa e commovente; quel che mi dispiace è averlo letto dopo aver visto il film, perché con tutta la buona volontà non mi è stato possibile accantonarne totalmente l’impronta.
Eppure, se delle tre storie narrate parallelamente nel film la meno convincente mi era sembrata quella di Julianne Moore (ma so di non avere una gran simpatia per l’attrice, per quanto magistrale), ho vissuto il romanzo in maniera leggermente differente.
Le tre storie in sostanza raccontano la medesima esperienza e sono legate da un’intima affinità con “Mrs Dalloway”, ma la stessa Virginia e la newyorkese Clarissa hanno forse dei tratti così specifici (la scrittura, il genio, un rapporto e un giorno che sembrano aver significato da soli un’esistenza) che rendono meno automatica l’identificazione.
E la signora Brown? La signora Brown dovrebbe essere felice. La signora Brown va in crisi per fare piccole cose che potrebbero essere perfette, non riesce a gestire l’affetto del figlio, è irritata dalla condiscendenza del marito verso le sue mancanze, dalla lievità che le è richiesta, è sconcertata dalla “certezza” del suo futuro…

<>Mi misi a leggere il libro. Lo lessi con rispetto, arrendendomi a lui e supplicandolo di portarmi via da questo mondo. Davanti a me apparvero paesi nuovi, persone nuove, immagini nuove [...]


*In blu “L’invitation au voyage” di Baudelaire. I brani da “La nuova vita” di Orhan Pamuk


posted by frammento at 02:42  0 commenti