mercoledì, aprile 23, 2003
Please Please Please, let me get what I want this time
Qualche tempo fa ho visto Solaris, quello di Soderbergh, quello “cosa faresti se avessi una seconda possibilità”, quello per cui qualcuno s’è fatto carico di rimarcare malignamente dai suoi pulpiti cine-critici l’apparizione delle “nobili terga”, dove non delle “chiappe” (festa per i referrers!!), di Clooney.
Solaris è un buon film se vi piace Soderbergh, perché è fantascienza adattata al suo stile, che è quello di saggiare tutti i generi rimanendo abbastanza fedele a se stesso, cioè ad una poetica di sperimentazione blanda, hollywoodiana, patinata di tendenza (quasi
hype!), ma tutt’altro che spregevole. In generale è un regista piuttosto abile.
E’ un buon film se si riesce a considerarlo diversamente da un remake di quello di Tarkovskij: visto come qualcosa a sé è un film inquietante anche se non in modo disperato, è un melodramma moderno, modaiolo che però non cede a eccessive frivolezze, a suo modo conturbante.
Vi è raffigurata l’ossessione per il passato e per la sua unicità, i dubbi sull’arbitrio, sulla supposta capacità di non reiterarsi sempre manchevoli, sempre imperfetti, colpevoli se solo ci fosse dato tornare indietro a ritoccare quell’atto che abbiamo sciupato, che ci ha perduto. C’è qualcosa di filosofico anche in questo e lo posso dire con cognizione di causa data l’estrema facilità con cui mi attribuisco errori – attribuisco valore di irreparabilità ad errori che effettivamente compio.
Ma la “solaristica” nel film di Tarkovskij poneva degli interrogativi speculativi di tutt’altro genere.
Solaris è una sostanza pensante che in sintesi cattura l’immagine che l’uomo ha di se stesso. Un inquietante oceano di nebbie ricopre l’insondabile superficie del pianeta e restituisce misteriose materializzazioni dei trascorsi umani: l’impossibilità di capirne la vera natura dà luogo alle discussioni che svelano il tema cardinale del film, ossia l’atteggiamento scientifico ed etico da assumere nei confronti di ciò che ci è ignoto.
- La scelta sarà fra rinunciare a studiare o bombardare
- Vorrebbe distruggere quel che per ora non siamo in grado di comprendere?
Tarkovskij riteneva che ci fosse progresso solo se confortato dall’esperienza, dalla storia – memoria dei propri errori - dalla coscienza: non c’è progresso se non ci si cura dell’altro, se non si cerca di comprendere, se non ci si pongono domande.
- Creando dei limiti alla conoscenza colpiamo l’idea stessa della mancanza di limiti del pensiero
[…] - Non sono fautore di conoscenza a tutti i costi, la conoscenza è autentica solo quando sostenuta dalla morale.
Io penso ad Huxley. “Che gli uomini non imparino molto dalle lezioni della storia è la più importante delle lezioni”
A un certo punto del film di Tarkovskij, Kris dice qualcosa come (perdonate, ho una versione straniera): “Per conservare le semplici verità umane ci vogliono i misteri; il mistero della felicità, della morte, dell’amore: pensare a questo è come conoscere il giorno della propria morte.[…] E l’impossibilità di sapere questa data ci rende praticamente immortali”.
Non è un dunque richiamo “filologico” prezioso da parte di Soderbergh - in un primo momento sembra solo una superflua chiccheria - la citazione del verso di Dylan Thomas “And death shall have no dominion”?
(Kris guarda dalla finestra il padre riassettare dei libri, nonchalant della pioggia che cola dentro casa e su tutte le cose e successivamente si inginocchia al suo cospetto, affranto, con Bach in sottofondo che amplifica un’ansia metafisica quasi insostenibile – magnetico e indecifrabile, l’oceano di nebbie che lambisce un’isola, il desiderio, il rimpianto, il pensiero)
posted by frammento at
06:19
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