sabato, febbraio 08, 2003
L'altro giorno mi sentivo come in uno spot, uno del genere Birra Peroni.
A dire il vero, mi sentivo proprio come nello spot Peroni, nel pezzo in cui si vede la bionda seduta a un tavolo con il nonno e in fading in (& out) la scritta 'la mia enciclopedia' o qualcosa di simile: ci vedevo bene me e mio padre, l'altra mattina al tavolo della cucina a fare colazione, sebbene la somiglianza fosse in qualche modo latente. Forse sarebbe stata più manifesta se non fosse che a colazione non bevo birra e che non sono certo bbona come la modella (va bene, non sono bbona
punto), né mio padre è così vecchio - ma di questo si può tranquillamente incolpare l'ottico che da qualche anno gli rifila delle montature infìde (anche
ibrìde) che nell'espressione dell'attenzione me lo invecchiano.*
Questa parabola pubblicitaria era sicuramente una inconscia attestazione di stima nei confronti di mio padre, che a volte appare gloriosamente nelle vesti dell’arcangelo Treccani:
bevendo il caffè gli ho passato ‘Le linee d’ombra’ di Ghosh per fargli leggere almeno l’articolo in appendice e quando stavo per uscire mi ha fermato sulla porta per raccontarmi un passaggio di un altro libro che gli era rimasto impresso e che ora gli era venuto in mente. Dev’essere scattata qui l’immedesimazione col duo Peroni: mi ha raccontato di quest’immagine che gli era rimasta impressa, e che era parte dello splendido racconto dell’indipendenza dell’India che fa Dominique Lapierre (con Larry Collins), nel suo “Stanotte la libertà”. Che ho letto, apprezzato e che è andato a intrecciare le sue cronache con quelle degli altri scritti che mi hanno turbata.
Non ho scoperto niente, ma… quando mi appassiono a qualcosa divento altamente suggestionabile e vagamente teatrale e in omaggio a Ghosh e al suo meraviglioso libro mi son messa a ricalcare i gesti del suo personaggio: con gioia del mio arcangelo, ribattezzato per l’occasione “Sormani”, all’emeroteca civica mi sono fatta consegnare microfiches su microfiches di vecchi quotidiani e a casa ho cercato invano il mio atlante delle elementari con linee di confine oggi fantasma e altre solo sospettabili.
Le Linee d’ombra, appunto. Non le ho rincorse col dito sulla carta liscia a colori pastello, mi son piuttosto lasciata catturare dalla cartina ‘fisica’ colore dell’acqua, dei rilievi, dell’erba, della terra. Il colore del suolo calpestato da uomini e bestie, in cui affondano le radici delle piante, in cui si conficcano gli attrezzi di lavoro che ne scalfiscono appena la scorza, dove i solchi più profondi sono nelle zolle concimate a sangue dai milioni di umani che si odiano, si umiliano, si massacrano ancora oggi.
Che idea parziale che si ha di questi paesi distanti, che idea distorta. Una congerie di luoghi comuni che convergono a sostegno del proprio personale fantasma dell’esotico. Le enormi entità da affrontare non aiutano certo la sintesi, tutto è immenso, le masse, le distanze, le belve, la mole dei secoli, la raffinatezza, la povertà, il misticismo, i santi. O le leggendarie dimensioni dei diamanti dei maharajah, la cui stima e durezza hanno un adeguato corrispettivo solo nell’insostenibile dimensione degli orrori della fede.
L’uniforme elefantiaca dimensione dell’orrore, del fanatismo. Ma dev’essere fanatismo nella sua espressione più bieca, (o cinica sconsideratezza o autolesiva ingenuità?) quella che illude di poter delimitare, di poter apporre con l’inchiostro confini innaturali, di convertire in una linea di contorno la definizione dei popoli e della loro storia, e in essa esaurirne le esigenze e l’identità.
India (Kashmir!), Pakistan, Bangladesh e perché non Serbia, Croazia, Bosnia, Kossovo. E perché non Israele, Palestina…
La geografia è importante (come le parole)!
* quando è attento e si dedica all'ascolto completamente, così completamente che deve prodursi nel gesto dell'occhiale, cioé piegare la testa in modo che esso scenda a metà naso per guardarmi da sopra la montatura, perchè per ascoltarmi bene mi deve guardare in faccia.
posted by frammento at
03:33
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