giovedì, febbraio 20, 2003
Dopo aver trovato un
MacUbu natalizio entusiasta di
Ali il Magnifico, era diventata d’uso in libreria la sosta a sfogliare il poderoso volume fino a che con un frenetico sbattere di ciglia non sono riuscita a ipnotizzare
qualcuno, che ha sacrificato le sue tessere punti Feltrinelli per farmi un regalo. E non è stato un sacrificio inutile: il libro è sorprendente e io sono conquistata da questo racconto di periferia, dal racconto di questa periferia, per niente bonaria, per niente arrendevole, per niente semplice.
Certo, il fatto di leggere del giovane assassino amante di giacche Helly Hansen che uccide con sacchetti di plastica firmati fa sì che chiedendo scusa per un gomito infilzato appunto in un dorso HH, si sgranino gli occhi per accertarsi con qualche apprensione della mancanza di sportina del materiale incriminato…
Il luogo raccontato è la banlieue di Parigi, così poco splendida appendice della ville lumière, così simile a quella di qualsiasi metropoli, non importa quale, anche Milano… immersa in questo romanzo, non ho potuto ignorare un articolo di
Carnet (a cui due cari amici mi hanno abbonata, yup), sull’ultimo lavoro di
Gil Bensmana, artista francese di origini algerine, come Ali.
Qualche mese fa Bensmana ha ottenuto un modesto finanziamento per realizzare il suo progetto in un comune satellite della banlieue, Romainville, zona Gagarin (sempre nomi che richiamano ‘il sogno’ per luoghi tutt’altro che romantici, come Ali che vive a ‘i Poètes’): l’idea era di trasformare i muri dei palazzoni popolari in una sorta di galleria pubblica per chi non ha la possibilità o l’abitudine di visitarne, dove le immagini affisse fossero speculari alle strade. Una buona idea, che prende le mosse da ciò che ha maggiore visibilità oggi, ciò che non si sceglie di vedere per strada, i cartelloni pubblicitari -
la pubblicità, le firme, gli spot che influenzano Ali - e sceglie di far coincidere pubblico e soggetto.
Coltissimo Smaïl, convulso il romanzo, le parole gridate aspre. E impressionanti le installazioni di Bensmana, tanto pregnanti, tanto delebili e a maggior ragione tanto forti, realizzate come dono alla Parigi degli anonimi variamente etichettati (spesso in modo improprio, spesso semplicemente offensivo) perché potessero ‘mostrarsi’, senza particolari intenti sociali, imposti ai muri senza didascalia.
Perché io valgo
posted by frammento at
03:38
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