domenica, gennaio 19, 2003
Pare che io abbia una certa tendenza a leggere di eventi che mi interessano non un mese, non una settimana, non gli evangelici tre giorni, bensì non più di un'ora dopo il massimo tempo utile, così oltretutto sono lì a rodermi proprio nel momento in cui stanno appunto avvenendo. Dev'esserci una qualche variante della legge di Murphy che descrive questa mia tendenza, che ne so, la Chiosa di Casio o l'Osservazione di Swatch*.
Giovedì Feltrinelli ospitava il Carver Day: nei suoi spazi in varie città italiane alcuni attori e autori italiani hanno letto il racconto "Cattedrale", di Raymond Carver. Io ho perso l'occasione, ovviamente. So che era semplicemente un evento pubblicitario per il lancio della nuova edizione (che avrei raccolto volentieri... io ho una vecchia edizione, ma vecchia), eppure non mi sarebbe dispiaciuto sentirlo raccontare un'altra volta. La prima mi era capitata guardando uno degli spettacoli della tournée "Totem" e non mi era dispiaciuto sentirlo interpretare. Baricco ormai sono anni che mi ha stufato come autore, anzi la mia insofferenza nei confronti della sua scrittura autocelebrativa ha assunto un valore retroattivo - i libri che avevo apprezzato, se non amato, non li posso neanche estrarre dallo scaffale che già mi viene l'orticaria - però, devo dire che mi è sempre piaciuto come sappia raccontare i libri degli altri. Anzi, se qualcuno avesse registrato qualche puntata di Pickwick (correva l'anno 1993, se non erro), per favore, mi scriva. Sono anni che le cerco, mi piacerebbe vedere se è il mio ricordo adolescenziale che le rende così affascinanti o è solo il fatto che la tivì offra davvero poche trasmissioni interessanti, ad aver alimentato la mia fantasia.
"Cattedrale" è il racconto più conosciuto di Carver, e sarò banale, il mio preferito: sarà che racconta il raggiungimento di un attimo di sublime percezione. Nell'edizione che ho io, "Cattedrale" è l'ultimo racconto, ed è esattamente lì che doveva stare. L'impianto minimale, la desolazione, le anime 'emaciate' che si leggono nei racconti che lo precedono sembrano quasi preparatori al climax finale, quasi mistico (insomma, dopotutto si parla di cattedrali...)
Ma Raymond Carver è stato anche l'inventore della "scuola di scrittura creativa" a cui si sono rifatti molti scrittori americani delle ultime generazioni. Per conto mio, sono sempre stata convinta che una scuola di creatività fosse qualcosa da inserire nella categoria "ossimorica" (Belbo e Diotallevi docunt), ma dato che ha cresciuto gente come Jay McInerney ho cominciato a censurarmi al riguardo. Prima o poi mi convertirò, probabilmente.
In ogni caso, leggendo sul sito della Minimum Fax a proposito del Carver Day, sono finita su una pagina in cui il suo nuovo editore italiano racconta come abbia iniziato a leggere Carver: cioè, a casa di un amico, mentre questi era al telefono e lui doveva scegliere un libro da leggere in bagno (sic!); credo che il brano volesse essere un esempio di scrittura creativa, fra l'altro. Non è mia intenzione proporre un sondaggio su 'chi' legga e 'cosa', in bagno (abbiamo già dato; sarebbe triviale forse pubblicare i risultati dell'indagine).
In realtà, il fatto che si mettesse a studiare la libreria dell'amico per necessità (meglio, bisogno) senza indicazioni di sorta e scoprisse sia un autore interessante che un'inaspettata sfaccettatura nell'amico, m'ha fatto pensare che qualcosa di analogo, è successo anche a me.
Anni e anni fa, è capitato qualche volta che degli amici di famiglia avessero bisogno che badassi alla figlia per poche ore: ho potuto così tentare la professione di baby-sitter, come tuttE. Pensavo di dover esibire smorfie stupide, fingere di scivolare su invisibili bucce di banana seminate dal dio delle baby-sitter sfigate, gattonare con la bimba sulla schiena o cantare 'carissimo pinocchio' con lei piangente che mi innaffiava la maglietta. E invece era mattina presto e la maggior parte del tempo la bambina dormiva. Mi ritrovavo da sola in casa senza essermi portata niente da fare, quindi mi piazzavo davanti alla libreria del salotto e sceglievo: "Jules et Jim" e Joseph Roth, per esempio. E se non sono diventata la nuova editrice di Joseph Roth, se non altro ho potuto azzeccare dei regali.
* per quanto mi riguarda, toglietemi tutto, ma non: 'being late'.
comunque dico sempre che dev'essere il rimpianto di non aver portato avanti l'università che mi fa arrivare sempre in ritardo almeno del quarto d'ora accademico...
posted by frammento at
08:02
0 commenti