venerdì, dicembre 13, 2002


Io sorrido e il mio sorriso vorrebbe essere di supporto, rassicurante, non un sorriso leggero, mi ammazzeresti, stai soffrendo e io cosa faccio, ti sorrido. E' solo un accenno e senza l'ausilio degli occhi, che rimangono immobili, è dagli occhi che si studia l'anatomia del sorriso e io indosso una maschera che ha la forma del rovescio che lascia libero il volto e copre lo sguardo, perchè è uno sguardo livido.


A volte penso che dovrei infarcirmi meno di letteratura, non perchè la cultura faccia male ma perchè porta delle distorsioni preoccupanti quando male si sta.
Non è cosa che mi capiti spesso, e in genere almeno un qualche movente - troppo facile dire di tipo alcoolico - esiste. E invece questa volta no, magari è l'influenza che va quest'anno, non lo so, ma la scorsa settimana ho passato due notti definibili con inguaribile esprit de finesse soltanto come *emetiche*. Sarà stato tutto il parlare di "Tre uomini in barca" e di diffuse ipocondrie, una specie di contrappasso... Comunque sia, il mio stomaco ha detto NO. Mi pare abbia anche accennato un "io non ci sto" ed è probabile che questo abbia reso la gastrica ribellione inevitabile.
Niente di strano insomma, capita a tutti. Ciò di cui avrei riso se non fossi stata presa da quella serietà tutta infantile che sopraggiunge quando si sta male, è che mentre mi tenevo la mano sulla fronte (essì, da sola), vuoi perchè incoraggiata dal titolo sartriano, vuoi per confortarmi dandomi una statura in qualche modo letteraria (vuoi per prenderla con filosofia) mi recitavo il finale de "le belles images" di Simone De Beauvoir. Quello in cui il corpo di Laurence rifiuta di ingerire, di digerire, rifiuta di mandar giù. In cui lei rifiuta, tout court. Di essere indifferente, di chiudere gli occhi.
Io non li voglio chiudere gli occhi.

Sono spesso tentata di pensare che della temporanea cecità, noi che la conosciamo solo per metafora, ci accorgiamo solo quando ricominciamo a vedere.
Eppure tutte le civiltà hanno creato il mito di indovini, saggi, poeti che mancando di una percezione visiva del mondo lo sapevano interpretare, perchè il difetto dei sensi potenziava per necessità una capacità alternativa di rappresentazione, elevava l'intuizione e inventava una realtà di superfici grezze e di astrazioni oracolari.

Non so se sia più spaventoso pensare che ci sia ancora qualcosa fuori dall'umidità lattea, ma quando c'è nebbia in certe vie di periferia, non si può che 'inoltrarsi'. Piano, si avanza, la nebbia si fa sempre più densa e lanuginosa e la città è solo una questione di immaginazione.

p.s. : Simone de Beauvoir l'avevo citata, dovevo capire il sintomo, è un periodo che quel suo libro continua a venirmi in mente :) e non mi era neanche piaciuto all'epoca della prima lettura!


posted by frammento at 05:30  0 commenti