sabato, luglio 06, 2002


Da 'Ristorante al termine dell'universo' di Douglas Adams sono passata a
'Domani nella battaglia pensa a me' di Javier Marías e se ho lasciato a
malincuore il primo, mi sta sorprendendo la rapidità con cui mi ha coinvolto il
secondo. Due libri che hanno ben poco in comune, forse niente, e si trovano
accostati appunto solo a causa del carattere caotico delle mie letture
Un filo conduttore meramente soggettivo, sta lì la sua prepotenza.
Adams racconta di un ristorante 'racchiuso in una bolla temporale e proiettato avanti
nel tempo fino all'istante preciso della fine dell'Universo': un posto che
racchiude tutto lo svolgersi (verticale) del tempo, dove il tempo si
consuma al tavolo.
Nelle prime pagine del suo libro Marías racconta alcuni attimi cristallizzati. Lo svolgersi (orizzontale) di una
manciata di minuti nella vita di una serie di persone, in questo caso gli attimi
del panico o quelli prima della morte - ma è così anche nelle scelte quotidiane -
in cui si accetta piuttosto una sofferenza costante che rischiare che il più
lieve cambiamento trasformi la propria pur precaria situazione in un "non
più" definitivo.
Come se gli attimi avessero una propria finitezza e in questa trovassero la loro indipendenza dal continuo temporale.
Adams dice che il problema maggiore dei viaggi nel tempo è
quello grammaticale: dato che con i tempi e i modi verbali usuali è impossibile
qualsiasi referenzialità, la necessità vorrebbe un unico Tempo verbale o
innumerevoli nuovi.
Marías parla di un attimo infinito. Anche per questo ci vorrebbe una coniugazione a sé, un modo verbale che riuscisse a coniugare la dilatazione di un attimo all'infinito


posted by frammento at 11:00  0 commenti